Adozione. “Dopo quattro mesi che veniamo qui ogni giovedì pomeriggio, non abbiamo idea di che cosa sia una adozione”

Questa è la strana storia di una coppia di coniugi che ha partecipato a un corso per “aspiranti genitori”: una serie di incontri pensati per avvicinarsi al percorso dell’adozione, ma che ha lasciato nelle coppie più dubbbi che certezze

Il percorso dell’adozione è lungo e complesso. Impensabile affrontarlo da soli, al di là del fatto che, per quanto riguarda l’Adozione Internazionale, questo non è proprio possibile, perché serve sempre, per legge, il tramite di un ente autorizzato. Al di là della “concretezza” di documenti, burocrazia, organizzazione, però, il supporto decisivo che viene dato alla coppia deve anche prendere in considerazione il “prima”, ovvero la preparazione affinché gli aspiranti genitori arrivino preparati all’incontro con il loro figlio. Purtroppo, però, non sempre le iniziative che ci sono rispondono ai bisogni delle coppie, come testimonia una articolo pubblicato su “Rivista Studio” in cui viene ripercorsa l’esperienza, piuttosto fallimentare, di una coppia a una “Scuola per aspiranti genitori”.

Il corso per “aspiranti genitori”

I coniugi, insieme ad altre tre coppie di aspiranti genitori, ogni giovedì pomeriggio frequentano un corso per l’adozione al termine del quale, dopo quattro incontri, viene rilasciato un decreto di idoneità all’adozione. Avevano iniziato questo percorso pieni di entusiasmo, senza nemmeno indagare troppo sui motivi per cui non riuscivano ad avere figli. Adottare un figlio lo sentivano come un movimento naturale, coerente con un’idea di famiglia dove il sangue è tra le cose meno importanti. 

L’iter richiesto 

In due mesi hanno reperito tutti i documenti richiesti dal tribunale per i minorenni: analisi e visite specialistiche per dimostrare di essere in buona salute, dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, certificato di matrimonio, di residenza, l’atto di proprietà o il contratto di affitto dell’appartamento in cui vivi ecc. Fin qui tutto bene, quando ad un certo punto viene loro richiesto di presentare anche il consenso scritto dei loro genitori. Ma se uno di loro non fosse d’accordo perché magari non vuole fare il nonno? A quarant’anni serve l’approvazione di mamma e papà per adottare un bambino?

Domande legittime, senza dubbio, ma che possono avere una risposta comprensibile e condivisibile, se venisse spiegata nella giusa maniera. Ma proseguiamo con il racconto!

Il primo incontro 

È un colloquio individuale, vengono ascoltati i coniugi separatamente per sapere come si sono conosciuti, se vanno d’accordo, che lavoro fanno, come trascorrono i fine settimana, le vacanze di Natale, se d’estate viaggiano o se frequentano sempre gli stessi luoghi, se fanno sport e se hanno animali domestici. Sembra una chiacchierata informale, ma poi i coniugi vengono riascoltano insieme, come per incrociare le informazioni e confrontare le risposte in cerca di incongruenze e contraddizioni. Anche se non si ha niente da nascondere, l’ansia di dire la cosa sbagliata è inevitabile.

Il secondo incontro

All’incontro successivo viene chiesto loro di disegnare prima un albero e poi una famiglia. Ad ogni foglia e ad ogni ramo disegnato ci si domanda che significato avrà per quella gente che osserva seduta dall’altra parte della scrivania. Poi la richiesta di disegnare un padre, una madre, nonni, zii e bambini: dettagli, colori da usare, lo sforzo di riprodurre al meglio le immagini… E poi interrogarsi e confrontarsi con le altre coppie per chiedersi cosa si avrà involontariamente confessato con quei disegni.

Il terzo incontro

È il momento di dare la propria interpretazione di una parabola, “I ciechi e l’elefante”, una storiella d’origine indiana che ricorre con leggere modifiche in diverse tradizioni religiose. La psicologa che si appresta a leggerla premette che si tratta di un testo di una bellezza e di un acume straordinari. 

La spiegazione corretta sarebbe che la realtà è diversa per ognuno, in base alle proprie esperienze, al punto di osservazione e così via, ma nessuno vuole arrendersi all’idea che la risposta sia così ovvia. È uno spettacolo penoso, ogni coppia prova a dare interpretazioni cervellotiche e confuse, facendo la figura degli stupidi.

Il punto più basso arriva verso la fine del corso, quando davanti un computer fanno partire un video su YouTube in cui si susseguono foto in dissolvenza di famiglie felici accompagnate da citazioni melense sull’amore tra genitori e figli. Subito dopo le domande su come si sentivano, cosa avevano ispirato quelle immagini e quelle parole. Le coppie sono tutte in imbarazzo e a disagio, ma cercano di non mostrarlo perché tanto manca solo un incontro per ottenere il decreto di idoneità e le persone davanti a loro hanno il potere di poterlo negare.

L’ultimo incontro

“Come immaginate il vostro bambino?”: inizia con questa domanda l’ultimo incontro. Le coppie sono tutte riunite intorno a un tavolo e nessuno sa cosa dire. Ma che domanda è? Se sei libero di immaginare un figlio non puoi che immaginarlo bello, simpatico, intelligente, ma è un gioco a perdere, sarà un essere umano imperfetto come tutti gli altri. 

Allora il coniuge prende coraggio e dice: “Spero che abbia senso del ritmo e impari a suonare la batteria. Così magari suoniamo insieme visto che io strimpello un po’ la chitarra”. La psicologa, però, abbassa lo sguardo e insiste che vuole una risposta seria e dice: “Quel bambino è già nato”, precisa come per essere d’aiuto, “è un bambino che già esiste, con una faccia, un corpo, un nome e una storia”. A quel punto un altro aspirante genitore prende coraggio e risponde: “Anche mia moglie esisteva prima che la conoscessi, ma non significa che immaginassi già di sposarla”.

Tutti sostengono quel ragionamento, ma la psicologa insiste nel mettere in guardia sulla consapevolezza necessaria per adottare e racconta la storia di un bambino che il giorno del compleanno della madre adottiva le ha regalato un pacchetto con tanto di fiocco colorato e dentro le proprie feci. “Ogni anno falliscono molte adozioni. Non avete idea di quante coppie non reggono e riportano i bambini in casa famiglia. I minori si sentono responsabili di quello che hanno subìto e faranno di tutto per mettervi alla prova, cercheranno in ogni modo di trovare il vostro punto di rottura e dimostrare che prima o poi li abbandonerete anche voi”.

Finalmente qualcosa di concreto, niente disegni, parabole indiane e video su YouTube. Ma dopo quattro mesi di incontri nessuno ha capito qualcosa sull’adozione, nessuno ha idea di che cos’è davvero un’adozione. Alla fine le coppie vengono accompagnate alla porta con l’augurio di una buona fortuna e una stretta di mano.

 

Il racconto di questa coppia lascia con l’amaro in bocca, è vero. Ma è giusto sottolineare che non tutti i percorsi di preparazione all’adozione hanno questi risultati. Preparare le coppie è necessario, e farlo bene è il modo migliore per porre le basi della costruzione di una nuova, solida, famiglia.
Chi fosse interessato al percorso di adozione internazionale o semplicemente desiderasse avere maggiori informazioni a su questi temi, può contattare l’ufficio adozioni di Ai.Bi. scrivendo un’e-mail a adozioni@aibi.it. I corsi proposti da Ai.Bi. in preparazione all’adozione, invece, si possono trovare a questa pagina