Adozione internazionale. Dopo Verona una Giornata Mondiale del Figlio. La sfida di Ai.Bi. alla politica

La propone il presidente Marco Griffini: “Basta con il precariato affettivo di comunità e famiglie affidatarie. I minori hanno bisogno di famiglie adottive”

Bisogna istituire una giornata mondiale del figlio, per rafforzare la coscienza sociale sulla esistenza del diritto di tutti i minorenni di crescere in una famiglia in grado di dargli felicità, amore e comprensione. La politica italiana se ne faccia portavoce presso le istituzioni sovranazionali”. Lo ha ribadito il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, rilanciando la proposta fatta domenica dal palco del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.

A 30 anni dall’approvazione della Convenzione dell’ONU di New York sui diritti dell’infanzia c’è ancora una domanda che è rimasta senza risposta: quanti sono oggi, nel mondo, i minori abbandonati, quelli che vivono senza una famiglia? Impossibile rispondere: non è mai stata condotto un monitoraggio da parte delle Organizzazioni Internazionali sullo stato di abbandono dell’infanzia nel mondo.

C’è un dato impressionante – spiega il presidente Griffini – evidenziato dall’unico, ad oggi, rapporto pubblicato dall’ONU, nel 2009, sullo stato di adozione dei minori abbandonati in tutti i paesi del mondo: ogni anno, fra adozioni nazionali e internazionali vengono adottati solo 260mila minori. Quindi, poco meno di 12 bambini ogni 100mila persone. L’adozione resta un evento raro, nel mondo, e l’abbandono dei minori un dramma senza risposte”.

“Un esempio? – prosegue il presidente di Ai.Bi- Per dare una famiglia solo ai minori rimasti orfani di entrambi i genitori a causa dell’AIDS, servirebbe incrementare le adozioni, nel mondo, di 60 volte. Ne occorrerebbero, cioè, 16 milioni!”.

Nonostante ciò, molti Paesi riconoscono formalmente solo il diritto di vivere con la famiglia d’origine, ma non quello di vivere comunque in una famiglia stabile in assenza della prima. “Tuttavia – aggiunge Griffini – le misure di protezione alternative alla famiglia di origine non possono essere tutte considerate sullo stesso piano, perché la vita prolungata all’interno delle comunità educative e delle famiglie affidatarie non restituisce ai minori la condizione di ‘figlio’ né la necessaria stabilità. Nel ‘superiore interesse del minore’ è necessario rendere maggiormente chiaro l’obbligo comune a tutti gli adulti e agli Stati di garantire a tutti i bambini e ragazzi il diritto ad uno sviluppo equilibrato della loro personalità e di raggiungere il massimo del loro potenziale senza essere condannati per anni al precariato affettivo delle misure alternative”.