Adozione. Ricerca delle origini: “Improvvisamente a quattordici anni mi chiese: ‘Ma chi è la mia vera mamma?‘”

Un giorno, lo abbiamo trovato nella sua cameretta, sdraiato per terra a guardare il soffitto, in maniera pensierosa. Gli abbiamo chiesto se stesse bene e lui ci ha risposto: “Mamma, papà, perché sono stato abbandonato?”

Cara Ai.Bi., nostro figlio fino all’età di quattordici anni non ha mai mostrato interesse verso le sue origini. Poi, un giorno, lo abbiamo trovato nella sua cameretta, sdraiato per terra a guardare il soffitto, in maniera pensierosa. Gli abbiamo chiesto se stesse bene e lui ci ha risposto: “Mamma, papà, perché sono stato abbandonato?”. Sapevamo che questo giorno, sarebbe prima o poi arrivato, eppure la sua domanda ci ha lasciato spiazzati. Come aiutarlo?

Marta e Gianni

Carissimi Marta e Gianni,

i bambini che vengono adottati vivono un’esperienza di forte cambiamento. Una forma di “rottura” nella linea della vita, in cui, spesso, dopo periodi di transizione in cui sono temporaneamente tutelati con varie forme di accoglienza (comunità, case-famiglia, famiglie affidatarie) passano da una situazione familiare ad un’altra, dalla famiglia di origine a quella adottiva. Nel caso dell’adozione internazionale, la rottura riguarda anche il Paese in cui si vive, l’ambiente e il clima sperimentati precocemente, il contesto sociale di appartenenza, la lingua e le abitudini culturali di riferimento.

Ognuno affronta il proprio passato secondo i propri meccanismi interni:

ci sono bambini che fin da molto piccoli (o dal loro arrivo in famiglia, qualunque sia l’età), iniziano a proporre le proprie curiosità in merito alla costituzione della propria famiglia o alle motivazioni che li hanno portati allo stato di abbandono. Questo aiuta le famiglie a seguire empaticamente i passaggi interni dei propri figli, a poter offrire accoglienza e contenimento con le proprie risposte e infine, aspetto fondamentale, a costruire giorno dopo giorno una narrazione familiare della propria storia fatta di linguaggi e contenuti condivisi, talvolta co-costruiti.

Altri sembrano per lungo tempo come “disinteressati” alla propria storia pre-adottiva, concentrati invece sulla vita attuale, e si trovano di rado a fare domande o a raccontare esperienze del proprio passato. Accade in generale che vengano condivise più frequentemente esperienze della vita in Istituto, piuttosto che quelle relative alle famiglie di origine. Come fossero contenuti più decifrabili per loro, e quindi anche più facilmente condivisibili. È presumibile però che anche in questi casi i bambini e i ragazzi si facciano più domande di quello che immaginiamo. “Ogni mattina, quando mi alzavo e mi lavavo il viso, guardandomi, mi domandavo a chi assomigliassi, ma non l’ho mai detto a mia madre”, come riporta una giovane donna parlando della sua adolescenza. A volte per protezione verso i propri genitori, a volte per la personale difficoltà di avvicinarsi ad un possibile vaso di Pandora potenzialmente molto doloroso, i figli si possono trovare da soli a fare i conti con il proprio passato.

L’adolescenza, ma sempre più frequentemente la preadolescenza, li vede confrontarsi con il compito evolutivo di costruire un ponte fra il loro essere bambini e il loro essere giovani adulti.

E questo può favorire il potenziamento, in forza e frequenza, di certi interrogativi interni (“Chi sono? Chi ero? Perché mi hanno lasciato? A chi o a cosa appartengo?”) tanto da non permettere più un auto contenimento efficace. Possono emergere allora comportamenti reattivi, di rottura, difficili da regolare e anche da comprendere. Invece, la possibilità di aprirsi e di farsi accompagnare nell’esplorazione di vissuti di incertezza e sofferenza, offre ai ragazzi la possibilità di contatto umano più autentico: se nella relazione c’è spazio anche per le mie zone di ombra, allora posso immaginare che ci sia spazio per me intero, non più diviso a metà, fra un mondo e l’altro, una vita e l’altra.

Quando i ragazzi esprimono, in una qualche forma, la necessità di dire ad alta voce ciò che spesso si sono detti nel segreto dei propri pensieri, in qualsiasi fase della loro crescita avvenga, siamo di fronte alla preziosa occasione di accogliere e trasformare con loro la loro visione di se stessi, della loro storia, aiutarli a costruire un senso coerente di sé e acquisire fiducia per la costruzione della propria vita futura su fondamenta stabili e sicure.

Francesca Berti

Psicologa Psicoterapeuta – Sede di Firenze Ai.Bi. Amici dei Bambini

Qualora, vi troviate ad affrontare nuove sfide o situazioni di disagio all’interno del nucleo familiare, i consulenti di Faris – Family Relationship International School, l’ente di consulenza e di formazione dedicata ai temi della famiglia della Fondazione Ai.Bi., sono pronti ad ascoltarvi e ad accompagnarvi alla ricerca di nuove soluzioni. Vistate la pagina Faris QUI