L’africa ha raggiunto l’immunità di gregge senza vaccini?

Un titolo di Repubblica, molto ripreso sui social, sembra indicare che in Africa, anche con molti meno vaccini, sia stata raggiunta l’immunità di gregge. Ma il discorso è molto più complesso di così

Se c’è una cosa che la pandemia ha evidenziato con una forza raramente vista in passato è quanto l’informazione più immediata e “social” possa dire tutto e il contrario di tutto con la stessa facilità. Titoli oltremodo allarmistici da una parte, contro “strilli” pronti a contestare qualsiasi decisione riguardante ogni restrizione imposta dai governi. Esaltazione dei vaccini contro “piano mondiale sovversivo” come non si vedeva dai tempi del Terzo Reich…
Certo, con un minimo di ricerca in più e anche solo un po’ di buonsenso, riuscire a separare le notizie con un fondamento di verità da quelle puramente clickbait (il cui unico scopo è portare l’utente a cliccare e aprire il link, per questo, detto in parole povere, la si “spara sempre più grossa”) è sempre fattibile, ma il contesto rimane confuso e non contribuisce certo a rassicurare chi legge.

Immunità di gregge senza vaccino?

Un ultimo esempio arriva da un articolo di Repubblica del 3 febbraio, il cui titolo non ammette molte repliche: “Ecco perché l’Africa, anche senza vaccini, ha quasi raggiunto l’immunità di gregge”.
Se ci si ferma qui, come hanno fatto le tante pagine FB e social che hanno ripreso la notizia e mostrato lo screenshot del titolo, il senso è piuttosto inequivocabile: l’Africa (tutta) non ha avuto bisogno dei tanto decantati vaccini per raggiungere l’immunità di gregge!
Peccato che anche solo leggendo il sommario dell’articolo, il contesto venisse spiegato molto meglio: “L’80% degli abitanti di alcune nazioni africane ha gli anticorpi. Vuol dire che hanno incontrato il virus senza subire danni. Ma l’età media in molti paesi è 18 anni, da noi 45. E il sospetto è che molti decessi non siano mai stati contati (il grassetto è nostro)”. Evidentemente, il senso cambia radicalmente. Innanzitutto il discorso viene circoscritto ad “alcune nazioni”, e in Africa se ne contano più di 50; dopodiché vengono ribaditi due dati fondamentali: l’età media in Africa è di 18 anni; l’età media dei morti a causa del Covid è di 79 anni. In tantissimi Stati dell’Africa avere una conta dei contagi e dei decessi è sostanzialmente impossibile.
La confusione generata da una comunicazione di questo tipo è controproducente da molti punti di vista: non solo perché offre un gancio facile a chi sostiene che i vaccini siano stati inutili (e non è così), ma anche, all’opposto, perché per reazione potrebbe portare a catalogare la notizia come “falsa” e non prendere anche quello che di buono questa informazione potrebbe dare.

Effettivamente la giovane età media è un vantaggio, ma il vaccino resta fondamentale

Si è parlato a lungo della scarsità dei vaccini in Africa e della sproporzione di distribuzione dei medicinali tra i Paesi ricchi e quelli poveri: giusto! E il problema rimane, anche di fronte a una situazione che, per fortuna, potrebbe essere meno terribile, in Africa, rispetto a quanto accaduto in Europa, America e gran parte del mondo. In questo senso, sicuramente, la giovane età media di tanti Stati africani aiuta, tanto è vero che lo Stato più colpito del Continente sembra essere il Sudafrica, che è quello dove l’età media è più alta, ma è anche quello più strutturato e in cui il conteggio di ricoveri e decessi è stato più attendibile.
In molti altri Paesi africani bisogna raccogliere i dati per come arrivano, adattando il discorso generale al contesto molto diverso di ciascuna nazione.

La situazione in Kenya

Antonio Raimondi, per esempio, cooperante di Ai.Bi. in Kenya, sottolinea come nel Paese già la variante la Delta avesse contagiato tante persone. Prova ne è il fatto che a stragrande maggioranza degli espatriati, dovendo fare il tampone per prendere l’aereo per tornare a casa, sono risultati positivi e altri sono risultati positivi appena arrivati nei loro Paesi. I tassi di positività alla fine del 2021 erano arrivati anche al 50%, mentre adesso si è attorno all’1,5%

Questa sensazione, per quanto “personale”, fa capire come effettivamente l’età media giovane della popolazione africana possa aver contribuito alla minore incidenza del Covid nel Continente, ma non deve far dimenticare quello che tantissimi studi scientifici hanno sottolineato: ovvero che un’immunità data dal contagio è minore e di più breve durata rispetto a quella garantita dai vaccini; così come va sottolineato che lasciare una maggiore possibilità di circolazione al virus permette allo stesso di avere una maggiore possibilità di mutare e far nascere nuove varianti, di fronte alle quali i vaccinati sono potenzialmente più protetti rispetto a chi non lo è.
Il discorso, certo, è molto complesso e una comunicazione “spicciola” e urlata, come abbiamo visto, rischia di essere fuorviante da una parte come dall’altra. Sia perché, in un certo senso, è vero che l’Africa ha mostrato finora una capacità di resilienza maggiore, ma è altrettanto certo che questa resilienza non può farci pensare che “allora va tutto bene” e che non ci sia bisogno di pensare, implementare e sostenere un piano di vaccinazioni e di aiuti anche per le popolazioni africane che finora hanno innegabilmente avuto un minore accesso alle cure.