Agenzia Dire: “Il vero scandalo dentro lo scandalo del Congo, è quello delle agenzie intermediarie di adozione”

congo gruppo di bimbi200Si riporta di seguito un articolo pubblicato dall’Agenzia Dire (www.dire.it), a firma di Silvia Mari. A seguire, il commento di Valentina Griffini, Responsabile Area Asia e Africa di Amici dei Bambini.

 

Silvia Mari – Alexis Nzola

ROMA  – Il caso dei genitori italiani rimpatriati senza i figli adottivi ha tenuto le prime pagine dei giornali. Gli appelli al Ministro Kyenge e addirittura a Papa Francesco, in barba a qualsiasi questione di legittimità giurisdizionale, hanno spesso tolto spazio all’analisi del problema e drammatizzato eccessivamente il dibattito. C’è una questione di sentimenti e attese, certamente non trascurabile, ma c’è un tema tutto legislativo e politico che va riposizionato al centro del dibattito.

Non è difficile ipotizzare casi di corruzione (falsificazione di dati anagrafici, tangenti), non è difficile pensare che questi italiani siano davvero vittime. Magari di chi li ha spediti in Africa a prendersi un figlio ad ogni costo e con chissà quali costi. Il Congo, ben oltre i propri confini, obbliga a riproporre il tema delle adozioni internazionali, a rivedere procedure e modalità, a stanare gli abusi e il business e gli orrori del traffico dei bambini [come ben documentato dalla giornalista statunitense – Kathryn Joyce –nel suo ultimo libro The Child Catchers: Rescue, Trafficking, and the New Gospel of Adoption appena pubblicato (2013)].

Il dato ben celato, il vero scandalo dentro lo scandalo del Congo è quello delle agenzie intermediarie di adozione. Moltissime tra queste sono quelle statunitensi e quelle religiose che fanno capo alla Chiesa evangelica e che spinte da zelo missionario e suggestioni apocalittichevedono la “orphan crisis” come opportunita’ di proselitismo: una crociata di bambini che ancora una volta lascia l’Africa per gli Stati Uniti.

Sulle adozioni internazionali è in corso una politica di allerta e il Congo non è affatto il primo paese ad aver bloccato le pratiche. Possiamo ricordare il Guatemala, la Thailandia, la Russia e la Romania. In tutti questi paesi, negli ultimi tre anni, è stato registrato un calo delle richieste di adozione a fronte invece di un aumento importante per Etiopia e Repubblica Democratica del Congo. I numeri che seguono, anno per anno, lo testimoniano senza spazio alle supposizioni.

La pratica dell’adozione è anche un succulento affare, soprattutto per i soggetti intermediari che vi operano e non c’è dubbio che l’inversione di tendenza di questi due paesi suscita attenzione e allarme, specialmente se si ragiona sul fatto per cui non tutti i paesi africani hanno ratificato la convenzione dell’Aja (sezione di Hague del 1993) sull’adozione dei bambini, che ne disciplina diritti e procedure.

Esiste infatti, e il Forum dei paesi Africani ha espresso parere favorevole in merito, in parallelo all’adozione vera e propria, una politica di sostegno nel paese e nel contesto di origine dei bambini. E’ questa la linea sempre preferita dai paesi africani, in coerenza del resto, con un sistema culturale e sociale che vede nel riferimento del clan, anche nel caso di bambini orfani, una soluzione sempre preferibile anche se magari supportata da sponsorizzazioni internazionali finalizzate all’istruzione o alla salute degli stessi bambini.

L’Unicef, non l’ultima ong religiosa, è da sempre promotorice di questa tipologia di aiuto anche per quei bambini che sono separati da genitori e famiglia a causa di guerre o disastri naturali. Anche in questi casi estremi l’obiettivo ultimo rimane sempre quello di promuovere il ricongiungimento con la famiglia, passando attraverso forme transitorie di sostegno. Un esempio positivo in tal senso è lo Stato dell’Uganda il cui governo si è impegnato strenuamente con misure legislative ad hoc per la tutela dell’infanzia e per privilegiare il sostegno alle famiglie e alle comunità locali, piuttosto che l’allontanamento dei minori dal proprio Paese di origine.

Il boomerang nel lungo periodo di una certa facilità all’adozione è anche quello di non educare e formare mai adeguatamente le popolazioni di certi paesi ad una procreazione consapevole e ad una qualche forma di pianificazione familiare, almeno finché l’adozione rimane una sorta di comoda e compensata pratica di esportazione di figli in eccesso.

Il Congo che sui nostri giornali è passato come il paese dei diritti negati ai bambini, ha sviluppato negli ultimi anni una ferrea politica di difesa dei diritti dei minori come anche delle donne. Nel 2009 il governo ha adottato una legislazione ad hoc per la tutela dei bambini, soprattutto con la fine delle ostilità e il ristabilimento della tregua con la regione semi autonoma di Kivu da sempre dilaniata da conflitti.

Bambini e donne, le categorie sociali più vulnerabili, sono diventati il centro dell’attenzione e delle azioni del governo centrale. È proprio questa distensione che ha consentito, ad esempio, la smobilitazione dei bambini arruolati dai ribelli nei gruppi armati come soldati. Stessa storia per l’accesso all’istruzione, che nella regione di Kivu contava le percentuali più basse rispetto alla media nazionale (34% all’istruzione primaria contro il 52% del resto del paese). Esistono poi problemi tutti sanitari riferibili alle condizioni della nutrizione o all’accesso ai vaccini fondamentali. Per non parlare del killer numero uno, la malaria, che nella Repubblica del Congo fa 200 mila vittime all’anno. Ma tutto questo, pur nel quadro serio e preoccupante che questi numeri restituiscono,non fa dei bambini congolesi degli orfani adottabili tout court come una certa approssimazione vuole lasciar intendere. Questa condizione di povertà e di scenari di guerra non trasforma i figli in “bambini della strada”.

Il fatto che sia stato un paese africano ad avanzare una certa esigenza legale di verifica e controllo sembra quasi aver disorientato la pubblica opinione. Per la Francia o altro paese europeo qualcuno avrebbe scomodato il Papa? Questo in effetti è proprio ciò che è accaduto. Pochissime le righe dedicate ai casi e ai bambini, alle vicende da chiarire e alle scelte prese dal governo congolese. Si è parlato piuttosto del ritorno senza figli delle coppie italiane, di fine dei diritti dell’infanzia, di abusi di potere dello stato africano. Il ministro italiano Kyenge promette soluzioni d’intesa e ammonisce i paesi che cambiano legislazione.  Eppure il Congo non ha norme nuove in materia e fin da settembre aveva annunciato il congelamento (per un anno) per ulteriori accertamenti delle pratiche in corso. Si parla del Congo, peraltro, senza alcuna cognizione della sua sconfinata estensione, delle sue regioni in rivolta, dei suoi conflitti interni.  Si parla del Congo pensando all’Italia senza una sola domanda sul perché questi genitori siano partiti nonostante precise e contrarie disposizioni.

Questo “articolo” non merita molte attenzioni, ma alcune precisazioni sono d’obbligo:

 

1)      L’adozione non è avere un figlio a tutti i costi, casomai è il diritto di essere figlio. Stia attenta, sig.ra Silvia Mari a non confondere l’adozione con la fecondazione assistita!

2)      Cosa intende per agenzie intermediarie d’adozione? Che non si azzardi a buttare nel calderone anche gli Enti Autorizzati che, come Ai.Bi., lavorano seriamente e quotidianamente in questo Paese, perché a questo punto non bastano le citazioni dei libri “appena pubblicati”, ma servono elementi oggettivi, nelle sedi opportune.

3)      Il numero delle adozioni in RDC cresce, e la sig.ra Mari ci dice che nel 2012 sono state fatte ben 240 adozioni da parte degli Stati Uniti…ma la sig.ra Mari conosce il numero dei bambini abbandonati in RDC? Forse no. Si stimano 4 milioni di bambini abbandonati… e quando dico abbandonati intendo abbandonati, non bambini fuori famiglia. E’ necessario contestualizzare i dati portati a supporto di una tesi, altrimenti non servono a nulla..e calando il dato nel contesto posso affermare che le adozioni internazionali in Congo sono poche rispetto al numero di bambini che avrebbero diritto ad avere una famiglia.

4)      La sig.ra Mari si arrischia a dire che “l’adozione è anche un succulento affare”, ma lo sa che come figlia adottiva sta ledendo la mia dignità? Ma lo sa che io non sono un pacco comprato? Sarà che non sono permalosa e che sono abituata all’ignoranza, ma sig.ra Mari deve essere cauta, sta parlando di vite umane.

5)      Sicuramente non arriva la sig.ra Mari ad insegnarci la sussidiarietà dell’adozione internazionale, ovviamente l’adozione internazionale è l’ultima ratio dopo aver verificato la possibilità di reinserimento in famiglia biologica o allargata (laddove esista ancora) e l’adozione nazionale. Suggerisco alla sig.ra Mari di studiarsi i nostri progetti di prevenzione all’abbandono o di sostegno alla genitorialità, potrà così parlare con maggiore cognizione di causa.

6)      Oh, bene, parliamo di Uganda: sig.ra Mari è stata negli istituti ugandesi? Conosce i numeri dell’abbandono di bambini in Uganda? Parliamo di 2 milioni e mezzo di bambini abbandonati (su una popolazione di 34 milioni di abitanti) e sig.ra Mari, abbandonati non vuol dire con la zia che viene a trovarli tutte le domeniche, vuol dire senza nessuno al mondo. Si guardi i dati dei suicidi dei ragazzi che escono dagli istituti ugandesi a 18 anni o di quanti entrano ad ingrossare le fila dei ragazzi di strada o che purtroppo cadono nella rete della criminalità organizzata… poi, dopo che avrà analizzato questa realtà, ne riparleremo.

7)      Sig.ra Mari, da ultimo, Le offro la possibilità di comprendere la vicenda della 24 coppie adottive tornate senza figli dal Congo, perché ahimè constato che neppure su questo punto ha avuto modo di documentarsi a sufficienza. Quindi se vuole avere notizie precise non esisti a venirci a trovare, la porta è sempre aperta e potremo aiutarla a riscrivere il pezzo.

Un caro saluto,

Valentina Griffini