“Che significa dare testimonianza alla verità?”

gesù pilatoDal brano in cui l’evangelista Giovanni narra il dialogo tra Gesù e Pilato e dai testi del profeta Daniele (Dn 7,13-14) e del libro dell’Apocalisse di san Giovanni Apostolo (Ap 1,5-8) prende spunto la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Ai.Bi. Amici dei Bambini e de La Pietra Scartata, in occasione della festività di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.

 

VANGELO  Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 18,33b-37

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».

Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».

Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

 

 

 

Oggi comincia l’ultima settimana dell’anno liturgico, prima dell’Avvento.

E’ la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo. Una festa un po’ strana, almeno per la nostra cultura. Viviamo in un tempo di democrazia, in una repubblica. I regni e i re sono passati di moda, oramai.

Come possiamo ancora noi cristiani parlare di Gesù come un re? Non rischiamo di essere ‘inattuali’?

 

Anche a noi viene da fare la stessa domanda che Pilato pone a Gesù, nel Vangelo di oggi: «Sei tu il re dei Giudei?».

E’ una domanda ironica, addirittura scettica. Pilato non conosce Gesù, non sa nulla di lui. Ha semplicemente davanti a sé un uomo che gli è stato consegnato. Gesù è stato tradito, arrestato, abbandonato, consegnato.

Lui, si è consegnato nelle nostre mani, si è affidato a noi. E noi siamo arrivati fin lì.

Gesù è davanti a Pilato come un malfattore. Altro che re!?

In quel colloquio davanti a Pilato, il rappresentante del potere civile, l’impero romano, Gesù prende nettamente le distanze da qualsiasi fraintendimento: «Il mio regno non è di questo mondo».

 

Eppure, quante volte anche noi cristiani siamo caduti nella trappola di confondere il regno di Gesù con i regni di questo mondo e, allora, abbiamo fatto diventare la nostra fede un’occasione di dominio, di forza, di potenza, di onori, di privilegi, a tutti i livelli, dal Vaticano fino, giù giù, alla più piccola delle nostre parrocchie o dei nostri gruppi.

E’ la tentazione di ‘usare’ la nostra fede per esercitare un potere abusivo sugli altri. E’ la tentazione di spadroneggiare, in nome di Dio. Trappola pericolosissima, perché in nome di Dio si possono compiere e rivendicare orrori e follie.

Bene ha detto, in questi giorni, papa Francesco, quando ha scandito che è una bestemmia usare Dio per giustificare l’odio e la violenza! Niente di più grave.

E’ quello che è stato fatto anche in questi giorni! Ma all’odio non si risponde con l’odio. Si cadrebbe nella ‘trappola’ del male.

 

Gesù stesso, nel Vangelo, dice: «se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei».

Ecco, Gesù non ha eserciti per difendersi. Questo naturalmente non significa che non debbono esistere anche gli eserciti – e aggiungiamo: purtroppo! – per difendersi. Ma Gesù non ha eserciti.

Non sarebbe stato difficile per Dio ‘difendere’ suo Figlio, perché non morisse, perché non fosse consegnato.

Lo stile di Dio, lo stile di Gesù, invece è un altro: «ma il mio regno non è di quaggiù».

E’ lo stile dell’amore e del dono, non della violenza e dell’usurpazione. In quel ‘consegnarsi’ di Gesù c’è tutta la bellezza e la verità di Dio.

 

Alla domanda di Pilato, che insiste perché non capisce, Gesù risponde: «io sono re». E, subito dopo, quest’uomo debole, arrestato, accusato, nella sua debolezza e apparente sconfitta, pronuncia parole di incredibile splendore e chiarezza: Gesù dice di essere nato e venuto al mondo «per dare testimonianza alla verità».

E’ una sintesi molto forte di tutta la vita di Gesù, dalla culla, nella mangiatoia di Betlemme, fino alla croce e alla risurrezione.

 

Ma che cosa significa: «per dare testimonianza alla verità»? Questa è la domanda che gli farà poco dopo anche Pilato, al versetto 38: «Che cos’è la verità?».

Ma per Pilato è una domanda distratta. Non gli interessa davvero.

Forse è così anche per molti di noi. Sembra una di quelle domande così alte che non ci riguarda. Tanti uomini di pensiero, per secoli e secoli, si sono interessati a questa domanda. Tant’è che oggi molti di noi pensano, come Pilato, che la verità sia una di quelle ‘cose’ di cui discutono quelli che hanno tempo da perdere.

Invece Gesù dice di essere venuto, lui, per: «per dare testimonianza».

Tutto quello che Gesù ha fatto, nella sua vita, è un atto di testimonianza. Gesù è testimone, «è il testimone fedele» per eccellenza, come dice l’Apocalisse.

Questo significa che nella sua vita, apparentemente così normale, umile, c’è rivelato e nascosto qualcosa di immensamente più grande. In Lui c’è il dono della verità. In lui la verità si manifesta come dono: «dare» testimonianza.

Qui sta la verità di Gesù che è la verità di Dio, perché Dio è dono, Dio è amore, che si consegna nelle mani dell’uomo, amando coloro che lo rifiutano!

 

Gesù aggiunge, e conclude: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Ci è chiesto questo, come cristiani e come uomini. Metterci in ascolto della voce di Gesù e riconoscere che nella sua parola ritroviamo la pienezza di quel desiderio che abita in noi, che è il desiderio della verità.

Ascoltare la voce di Gesù: se faremo questo, allora, anche noi saremo ‘re’ come Gesù, saremo un popolo regale.

 

Il libro dell’Apocalisse, la seconda lettura, dice che Gesù, amandoci e liberandoci con il dono della sua vita dal nostro peccato, «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre». Ad immagine di Gesù anche noi siamo divenuti, tutti, sacerdoti e re.

Grazie a Lui, noi siamo sacerdoti, perché possiamo ‘accedere’ a Dio, nostro Padre, con fiducia, non con timore e tremore.

Grazie a Lui, noi siamo divenuti, tutti, ‘re’, non per approfittare del nostro potere, ma per essere testimoni di Gesù che è testimone della verità di Dio, che è Amore.

 

Tanto l’Apocalisse, quanto la prima lettura, dal profeta Daniele, ci invitano a guardare Gesù.

Il profeta dice che «guardando nelle visioni notturne», egli vide «venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo». Il profeta vede nella notte. E’ la notte di questo nostro mondo. E’ la notte di una storia spesso ‘insanguinata’ dal male, dall’odio, dalla violenza …

Ecco in questa notte, appare questo figlio dell’uomo, sulle nubi del cielo. E’ una bellissima immagine che esprime una tensione: questi è un uomo, ma viene con le nubi del cielo. E’ uno di noi, ma è trascendente, al di là e oltre la storia dell’umanità.

In questo figlio dell’uomo, intravvisto dal profeta, noi riconosciamo la figura di Gesù: nella sua storia di uomo, nel suo volto, nel suo corpo, nei suoi occhi, nelle sue parole, noi riconosciamo il «potere», la «gloria», il «regno» di Dio: «un potere eterno, che non finirà mai» e che nulla potrà distruggere.

 

L’Apocalisse, in modo analogo, dice che Gesù «viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero … si batteranno il petto».

Lui è «l’Alfa e l’Omèga», il principio e la fine.

 

Allora ascoltiamo la voce di Gesù.

Guardiamo a questo uomo, trafitto, consegnato per noi, per amore, e battiamoci il petto, anche noi.

Riconosciamo che anche noi lo abbiamo consegnato alla morte, con il nostro peccato, l’odio, la violenza.

Diventiamo servi di questo re d’amore e di pace.

Diventiamo anche noi reali testimoni della sua verità, che è dono di amore e di grazia.