Coronavirus e bambini. “La mascherina sempre, anche seduti al banco”

Il pensiero della virologa Ilaria Capua, che aggiunge: “Pericoloso puntare il dito sulla scuola”

I bambini? Per proteggersi dal Coronavirus dovrebbero portare la mascherina sempre. Anche quando “seduti al banco”. Lo sostiene la virologa Ilaria Capua, che ha recentemente presentato il suo libro “Ti conosco mascherina”, edito da “La Coccinellla”. “Queste sono le quattrocento parole di sanità pubblica più importanti che abbia mai scritto in vita mia”, ha affermato la dottoressa parlando della sua ultima fatica, nata per spiegare l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale ai bambini. Ma, spiega intervistata da La Stampa, “visti i contagi sempre più crescenti, forse dovrebbero leggerlo anche gli adulti”.

Coronavirus e bambini. La mascherina anche al banco ma non “puntare il dito sulla scuola”

“Non sono in Italia e non ho uno sguardo diretto sul comportamento delle persone. Sicuramente in queste settimane è aumentata la mobilità, la gente ha ripreso a viaggiare, molte attività sono ripartite. E, contestualmente, c’è stato anche un calo di attenzione: mascherina, distanziamento e igiene sono basilari per abbattere i contagi. Se vengono meno, i numeri crescono. È inevitabile”, ha spiegato la Capua a proposito dell’incremento dei casi di Coronavirus in Italia. “Mi pare riduttivo – ha però aggiunto – e anche pericoloso puntare il dito sulla scuola. La scuola, così come altri ambiti, porta le persone a spostarsi, ad avere relazioni: ma basterebbe seguire le regole date per limitare i rischi. Non farei sentite in colpa i nostri studenti per comportamenti errati di altri”.

Ma perché allora un libro dedicato esclusivamente ai minori? “Ho voluto restituire una vulnerabilità ai bambini – ha affermato ancora la Capua – perché noi siamo stati tutti proiettati sugli anziani, sul lavoro, sulle paure quotidiane. E i bambini sono stati un po’ lasciati da parte nel coinvolgimento e nelle spiegazioni. Era come se i genitori non avessero risposte. Ed era vero: ne avevamo pochissime anche noi. I bambini possono diventare complici: ad una mamma che manda il figlio a scuola con la febbre può essere il bambino stesso, se reso consapevole, a dire: ‘Mamma, io non dovrei uscire…’. Ho cercato, prima dell’inverno, di innescare comportamenti virtuosi, che sono l’unico argine contro il virus. Fantasia e narrazione sono gli strumenti per farsi ascoltare. Quello che è cercato di fare è stato contestualizzare il problema, inserirlo dentro a una scatola. Per normalizzarlo e dargli il giusto contorno. Spiegare il concetto dell’invisibilità: per un bimbo un qualcosa di così piccolo e così nascosto è difficile da capire. Va detto che il grande protagonista non è il virus, ma la gocciolina su cui viaggia: così si può guardare in faccia il mostro, perché non è più un mostro, e mettersi la mascherina da imposizione diventa un gesto naturale, istintivo e compreso”.