Coronavirus. La differenza con altre tragedie del passato: perché le culle resteranno vuote?

Secondo l’ISTAT ogni punto di disoccupazione provoca una flessione di 1500 nascite. E senza servizi per l’infanzia dopo il Covid la situazione sarà drammatica

Con il Coronavirus culle (ancora) più vuote? Dal 2008 le nascite in Italia sono calate di 140mila unità. Nel 2019 è stato toccato il minimo storico dall’Unità d’Italia (1861): 420mila nuovi nati (19mila in meno rispetto solo all’anno precedente) a fronte di 634mila decessi. Numeri che, nel 2020, anno segnato appunto dalla pandemia mondiale da Coronavirus e dalle sue drammatiche conseguenze sociali ed economiche, sono destinati solamente a peggiorare. Tra le coppie sposate in Italia, il 22% sono quelle senza figli, mentre il 33% si ferma a un solo figlio. Solo il 28% arriva ad averne un secondo. Ovviamente non tutte le famiglie si trovano in età feconda. Soprattutto visto l’invecchiamento progressivo della popolazione: gli italiani tra i 30 e i 39 anni sono sette milioni mentre quelli tra 40 e 49 sono nove milioni. E, così, secondo il demografo Alessandro Rosina, entro 10 anni l’Italia avrà due milioni di quarantenni in meno, cioè oltre un quinto dei potenziali lavoratori, con una perdita in termini di crescita economica davvero importante.

Coronavirus e culle vuote: economia in crisi e denatalità un circolo vizioso

Economia in crisi e denatalità, d’altro canto, si inseguono come in un circolo vizioso. Secondo l’ISTAT, ogni punto di disoccupazione in più si accompagna a una flessione pari a 1500 nascite. Questo, a fronte della prevedibile ondata di licenziamenti che seguirà il blocco imposto dal Governo durante l’emergenza, provocherà un ulteriore crollo della natalità che andrà a impattare anche sul 2021-2022. Ma a incidere, oltre a crisi e precariato, è anche l’assenza di servizi per l’infanzia, che costringono molte madri (38mila all’anno) a lasciare il lavoro per stare dietro ai propri bambini. L’Europa aveva fissato per il 2010 un obiettivo di copertura territoriale per i servizi dell’infanzia pari al 33%. Tale obiettivo è stato largamente disatteso. In Italia si arriva al 20%, con punte negative del 13% nel meridione.

Coronavirus e culle vuote. Il nodo dei servizi all’infanzia in tempi di lockdown

Problemi, quelli relativi alla gestione dei servizi neonatali, che sono esplosi con il lockdown e, forse, ancora di più con il ritorno al lavoro dei genitori. Che, con la chiusura di asili e scuole, si sono trovati a gestire i propri figli a casa senza però avere il giusto tempo a disposizione. In molti casi le famiglie si sono affidate ai nonni. Ma chi non ne aveva ha sofferto. Questo ha fatto sì che un pool di ricercatori dell’Università Bocconi abbia, con un modello, smentito la possibilità che, come invece avvenuto in occasione di altri shock globali del passato, in seguito alla catastrofe si possa generare un nuovo “baby boom”. Anzi, le culle, secondo gli studiosi, resteranno ancora più vuote. I bambini e le famiglie, insomma e ancora una volta, anche nell’emergenza sanitaria sono arrivati ultimi nella scala delle priorità della politica istituzionale. Eppure il futuro, senza bambini e senza famiglie, è a tinte fosche. Qualcuno lo capirà?