Dalla guerra al razzismo: non c’è pace per i rifugiati siriani in Turchia

rifugiatisiria200Dal nostro inviato (Luigi Mariani) – Qualche giorno fa una famiglia siriana ha bussato alla mia porta. In senso letterale. Aprendo, mi sono trovato di fronte il piccolo Safih, il volto deturpato e coperto da un grosso cerotto bianco. Il padre, che avevo già avuto modo di conoscere qualche mese fa, mi ha fatto capire di aver bisogno di danaro, per coprire parte delle spese sostenute nell’operazione di ricostruzione facciale del figlio, rimasto ferito nel bombardamento della loro casa in Siria. Se è vero che la famiglia di Safih, in questo caso, ha potuto contare sul mio appoggio, non saprei dire quale possa essere stata la reazione degli altri coinquilini del condominio, di fronte a una simile richiesta.

La situazione in Turchia, infatti, si sta facendo sempre più tesa: negli ultimi mesi è cresciuto il malcontento dei locali verso i rifugiati siriani stabilitisi nei centri urbani, in particolar modo nelle cittadine di frontiera. Si moltiplicano gli episodi di discriminazione, che a volte sconfinano in veri e propri disordini, in rappresaglie di matrice razzista. È il caso, più recente, del villaggio turco di Kahramanmaras, non distante dal confine con la Siria, dove un gruppo di 1.000 persone, domenica 13 luglio, ha organizzato una vera e propria mobilitazione anti-siriana, utilizzando i social media: al grido di “non vogliamo i siriani qui”, gli agitatori hanno cominciato a prendere di mira i negozi con le insegne in arabo. La protesta è degenerata quindi in un vero e proprio scontro con la polizia locale; dispersi dalle forze dell’ordine, i manifestanti si sono poi riuniti in un quartiere a prevalenza siriana, dove – fra le altre cose – hanno tentato di linciare una famiglia barricata dentro la propria auto.

Anche la città di Gaziantep (centro di riferimento per la comunità umanitaria internazionale impegnata nel rispondere alla crisi in Siria) è stata recentemente teatro di analoghi scontri, originati nello specifico da un incidente occorso a una donna turca e a sua figlia, investite dall’auto di un siriano. Proprio a Gaziantep, è prevista per domenica 20 luglio una dimostrazione anti-siriana, che secondo alcune voci, la polizia locale starebbe cercando di impedire.

Se da una parte, dunque, il governo turco ha predisposto un sistema di accoglienza di primo livello per quanto riguarda i campi profughi, considerati all’avanguardia rispetto ad altri paesi, dall’altra sembra non aver fatto abbastanza, in questi anni, per rispondere all’emergenza nei centri urbani, dove la convivenza tra siriani e popolazione locale è fonte di continue tensioni.

Accusati di darsi all’accattonaggio, alla microcriminalità e di alimentare il mercato del lavoro nero, i siriani in Turchia sono visti sempre più come una minaccia sociale, al punto da essere – ora – persino combattuti.

Purtroppo, la situazione non sembra destinata a migliorare nei mesi a venire. Il conflitto, nel nordest della Siria, si sta evolvendo in maniera preoccupante: il gruppo jihadista dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) si sta espandendo e rafforzando a velocità impressionante ed è in procinto di prendere il controllo di alcune zone chiave al confine con la Turchia, attualmente sotto il controllo dei curdi. Se ciò si dovesse verificare, è previsto un ulteriore afflusso di diverse migliaia di sfollati in territorio turco. Quale sarà il loro destino?

È anche per risparmiare a tanti siriani la sofferenza e l’umiliazione di sentirsi discriminati, che i progetti di Amici dei Bambini in Siria puntano a difendere il loro “diritto di sentirsi a casa, nel proprio Paese”: solo garantendo alle comunità locali il sostegno necessario per poter condurre un’esistenza il più possibile normale – nonostante la guerra – si potrà evitare che molte altre famiglie lascino le proprie case per riparare in Paesi vicini, perdendo, oltre al poco che è rimasto loro, anche la propria dignità.

 

In questo momento, la popolazione siriana ha bisogno di tutto l’aiuto possibile, da parte di tutti. Non restiamo a guardare.

 

Se vuoi dare anche tu il tuo contributo ai progetti di Ai.Bi. in Siria, per garantire ai bambini e alle famiglie siriane il diritto di sentirsi a casa, nel proprio Paese, visita il sito dedicato.