Eliminato il diritto di accesso all’aborto a livello nazionale negli Stati Uniti

Con una storica e controversa decisione la Corte Suprema USA ribalta, a maggioranza, la sentenza del 1973 che garantiva l’accesso all’aborto a livello nazionale. Ora la decisione spetta ai singoli Stati. L’invito dell’Arcivescovo Paglia: la decisione “è un invito a riflettere sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile”

La decisione era attesa da tempo e già contestatissima prima di diventare ufficiale, perché, in fondo, tutti si aspettavano sarebbe andata così: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la sentenza nota come “Roe vs Wade” che nel 1973 aveva garantito l’accesso all’aborto a livello nazionale. Da oggi non sarà più così, perché, ha sentenziato la Corte: “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto” e, dunque, la decisione su come regolare tale pratica torna a essere materia di competenza dei singoli Stati.

Se la decisione è figlia di prese di posizioni e non di un dibattito serio e libero

Al di là del merito di una decisione che, purtroppo, è troppo impregnata e circondata da prese di posizione ideologiche e politiche per consentire una discussione costruttiva, il risultato immediato è quello di una enorme spaccatura non solo all’interno dell’America ma in tutto il mondo.
Già la decisione della corte è arrivata a maggioranza e non all’unanimità, con i 6 giudici che con le nomine negli ultimi anni di presidenza Trump hanno decisamente spostato l’orientamento della Corte verso i conservatori che hanno votato compatti per il sì, e i 3 giudici di area liberale contrari.
Ma l’evidenza più emblematica della spaccatura è arrivata poco dopo la sentenza, con il discorso del Presidente Biden che l’ha definita “un tragico errore”, arrivato a “compimento di un’ideologia estrema”.
Il punto cruciale è qui: non nella decisione in sé, ma nell’evidente fatto di come questa sia figlia di quelle prese di posizione di cui si diceva e non di una discussione libera da pregiudizi (in un senso o nell’altro) che avrebbe potuto e dovuto essere molto più profonda e attenta. Si badi bene: magari sarebbe arrivata comunque una decisione identica, ma figlia di un dibattito e non di uno scontro di ideologie.
L’ha ben sottolineato l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: “Di fronte a una società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, è in gioco la nostra responsabilità per il futuro dell’umanità”. Non parole di approvazione o di condanna, ma l’invito a partire dalla sentenza della Corte per promuovere una riflessione aperta e sincera, senza contrapposizioni preconcette.

Stati Uniti spaccati in due dopo la sentenza della Corte Suprema

Ma la realtà, evidentemente, è un’altra. Basta guardare le reazioni immediate per rendersene conto. Perché se di Biden si è detto, in un senso, l’ex vicepresidente Mike Pence va in direzione opposta, sentenziando che la Corte Suprema “ha dato agli americani l’inizio di una nuova vita”. Immediata anche la divisione tra gli Stati: 13 hanno già leggi piuttosto restringenti riguardo all’accesso all’aborto (Arkansas, Idaho, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, North Dakota, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah e Wyoming) e di questi il Missouri ha già annunciato di essere il “primo” stato a vietare l’aborto, subito seguito dal Texas. Al contrario, altri 16 Stati, secondo una ricerca Axios citata da Il Post proteggono il diritto all’aborto nella maggior parte delle forme, a cominciare dallo stato di New York che, attraverso il suo governatore ha immediatamente dichiarato: “L’accesso all’aborto è un fondamentale diritto umano e resta sicuro, accessibile e legale a New York”.
Prese di posizioni, appunto, che, in un senso o nell’altro, si allontanano dal richiamo a una riflessione più profonda che risuona non solo nelle parole di Paglia, già citate, ma anche in quelle del presidente di Scienza & Vita Alberto Gambino che, come riporta Avvenire, da giurista sottolinea come “le scelte del diritto, quando non hanno profonde radici nella società, prima o poi possono recidersi”. Il “diritto costituzionale all’aborto sembrava apparentemente indiscutibile” ma “evidentemente non attingeva pienamente all’humus umano e culturale di un popolo. Quando una legge si fonda sulla prevalenza della posizione esistenziale dell’adulto sul soggetto umano più debole” si crea uno “sbilanciamento” che “mette inevitabilmente in crisi le coscienze, e con esse il diritto e le leggi che ne sono espressione”.