Fame di Mamma. “Abbiamo affrontato la morte, sapendo di non avere alternative… partire per mare” (3)

Terzo capitolo del racconto dedicato al viaggio di Mostafa: “Quando è arrivata l’imbarcazione ci siamo tutti lanciati al suo interno il più velocemente possibile, cercando di non essere raggiunti dai proiettili della polizia che stava sparandoci addosso. È iniziata così la nostra traversata. Eravamo forse 300, 400 persone in una barca”

Proviamo a pensare a un nostro figlio o una nostra figlia a 12 anni.
Da un lato si avvicina l’adolescenza e con questa qualche capriccio o discussione in più, dall’altro l’infanzia è ancora vicina, è difficile lasciarla. Si gioca ancora ma si vuole apparire grandi, si cerca la protezione dei genitori ma si comincia a desiderare autonomia.
Questi sono i nostri figli, ragazzini e ragazzine che crescono in famiglia in Italia o in paesi in cui i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono un valore da proteggere.
Mostafa a 12 anni era un lavoratore da 6: come abbiamo raccontato nelle due puntate precedenti di questa storia, Mostafa ha finito di essere bambino molto presto.
Verrebbe mai in mente a un nostro figlio di 12 anni di lasciare tutto, casa e affetti, per affrontare un viaggio pericoloso da solo, verso un altro continente?
La risposta è ovvia: no.
Molto meno lo è stata per Mostafa che una notte di alcuni anni fa si alzò, come d’abitudine alle 3, ma non si diresse ai campi per lavorare: si mise in viaggio, con alcuni compagni trovati per strada, verso Alessandria d’Egitto.
Ormai era deciso: “Nessuno di noi poteva tornare indietro, ognuno con la propria storia. – racconta Mostafa – Abbiamo affrontato la morte, sapendo di non avere alternative. Ci siamo rassegnati ad affrontare il percorso più pericoloso: partire per mare”.
Oggi sappiamo quanto quel braccio di mare che separa il nord Africa dalle coste italiane sia la rotta più letale al mondo per i migranti. Eppure ci si imbarca, su qualsiasi mezzo disponibile, perché la prospettiva che si ha davanti, una volta arrivati, è migliore di quella che si ha lasciato: in mezzo la roulette russa della traversata.
“Quando è arrivata l’imbarcazione ci siamo tutti lanciati al suo interno il più velocemente possibile, cercando di non essere raggiunti dai proiettili della polizia che stava sparandoci addosso – ricorda Mostafa – . Lo scafista è stato velocissimo e io, accucciato com’ero, con la testa fra le mani, lo guardavo.
È iniziata così la nostra traversata. Eravamo forse 300, 400 persone in una barca”.
Mostafa inizia un viaggio che, se arriva a conclusione, è solo un incubo da dimenticare, in caso contrario è la fine.
Nel suo corpo di 12 anni la paura per il freddo, il buio, la sorte di quella traversata si scontrava con la resistenza e la tenacia di un essere umano forgiato con il lavoro di un adulto.
Su quel piccolo scafo in pessime condizioni, in mezzo a centinaia di persone ammassate, infreddolite, cosparse di vomito, anche a Mostafa ha cominciato a girare la testa: “Sono caduto e ho iniziato a vomitare.  Il bagno era solo una piccolissima gabbietta – ricorda – Il terzo giorno ci hanno detto che sarebbe arrivato del cibo. Invece la Guardia costiera è riuscita ad intercettare l’imbarcazione che avrebbe dovuto portarci le provviste: ci furono sparatorie, alcuni scafisti sono morti e tutti noi siamo rimasti senza cibo. Era una fuga continua”.
Il giorno dopo l’imbarcazione già precaria si guasta: per 12 ore, le centinaia di persone disposte in modo tale da bilanciare il peso per non farla ribaltare, sono rimaste in attesa, fermi in mezzo al mare, mentre gli scafisti cercavano di ripararla. Si riparte ma lo scafo è ancora bucato: entra l’ acqua, rapida si diffonde la paura di morire da lì a poco.
“Hanno iniziato ad affogare, per primi, i sogni. Per 11 giorni non ho mangiato, ma non pensavo al cibo, pensavo solo che quasi sicuramente sarei morto, la mia speranza era appesa ad un sottilissimo filo”.
E poi il miraggio: l’arrivo di una nave italiana  di soccorso.
“Per sfamarci ci hanno dato un misero biscottino a testa. Il sapore era terribile, ma ero talmente affamato che ne avrei mangiati 1000. Abbiamo cambiato nave, ma siamo rimasti n mare ancora un giorno, fino a quando l’esercito italiano ha fatto esplodere la nostra vecchia e malandata barca”.
Mostafa, per adesso, poteva dirsi di avercela fatta. Da casa sua, in Egitto, all’Italia aveva percorso quasi 4mila chilometri di cui la metà via mare.

(3 Continua) 

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