Goma. Bambini in guerra: «La nostra sveglia non fa ‘driiin’… ma fa ‘boom’»

bimbo nero che scrive 200In occasione del Settembre senza distanza, Jonathan e Malachie, che hanno 9 e 10 anni  e vivono a Goma, hanno scritto una lettera ai loro sostenitori, per spiegare che cosa vuol dire svegliarsi ogni giorno e dover ringraziare di essere vivi; che cosa significa non avere nulla, provare fame, sete, freddo, paura. Ma anche quanto è importante avere un orizzonte, quanto conta l’aiuto che arriva dall’Italia, per poter andare avanti, materialmente e soprattutto emotivamente, immaginando un futuro, contando su un legame del cuore.

Perché quello che esprimono, nelle loro parole, è il desiderio semplice di avere qualcuno a cui interessi sapere come stanno, a cui interessi leggere la loro storia.

Questa:

Abbiamo visto la guerra a Goma.

Quando la mattina ci svegliamo dopo aver sentito le esplosioni tutta la notte e andiamo a scuola normalmente; abbiamo visto la guerra, noi!

 Al mattino mangiano i bambini più piccoli, noi grandi saltiamo il pasto e aspettiamo alla sera. Non c’è n’è a sufficienza per noi.

 A volte siamo obbligati a saltare la scuola perché il centro non ha i soldi per pagare la retta tutti i mesi. Non sappiamo se il mese prossimo si potrà andare, per ora andiamo quando si può.

 Quando ci ammaliamo dobbiamo cavarcela da soli, qualcuno a volte ci aiuta, qualche volta stiamo da soli nel letto e cerchiamo di riposare durante il giorno. Di notte non si dorme molto perché siamo in 2-3 persone per letto; per terra fa freddo e ci sono le pietre.

 Non sappiamo quando finiremo la scuola, ma non è un problema, non avremo niente da fare dopo. Cerchiamo di capire come funzionano i computer, i telefoni, facciamo dei lavoretti per alcuni signori che ci danno qualcosa da mangiare.

 A volte arrivano i soldati e rapiscono alcuni di noi per portarli con loro. I nostri amici che sono partiti sono stati violentati e picchiati e adesso fanno i soldati. Non sappiamo se sono vivi. Erano simpatici, giocavano e venivano a scuola con noi. Ora non vengono più.

 Tante volte dobbiamo scappare perché le bombe cadono nel nostro quartiere. Abbiamo paura e non sappiamo dove andare. Andiamo da qualche parte nel quartiere e poi, dopo qualche giorno torniamo al centro. Alcuni non sono più tornati.

 Abbiamo visto la guerra e abbiamo continuato le nostre cose, alla sera aiutiamo sempre le maman a lavare le pentole. A volte però l’acqua non c’è e aspettiamo che piova.

 

I nostri genitori ci hanno lasciati al centro, sono poveri, raccolgono qualche soldo con qualche lavoretto ma non riescono a darci da mangiare, noi abbiamo fame e andiamo per strada a cercare qualcosa. È un po’ colpa nostra.

 A volte rubiamo e qualcuno di noi è stato picchiato. Alcuni dei nostri amici sono in prigione, avevano rubato troppo. Avevano anche iniziato a sniffare la colla.

 Alcuni di noi sono diventati grandi, si sono sposati e hanno dei bambini. Lavorano quando possono e cercano di sopravvivere.

 Ma noi no, noi restiamo al centro. Abbiamo visto la guerra….anzi no, noi la stiamo vivendo adesso mentre scriviamo questa lettera.

Jonathan (9 anni) e Malachie (10 anni)