“Io senza utero, cerco una vita feconda”

sterilitàHa un nome quasi impronunciabile: sindrome di Rokitansky. È una malattia che riguarda la sfera della sessualità e della procreazione: consiste nell’essere priva sia di vagina che di utero. Raffaella, 39enne della provincia di Benevento, è una donna affetta da questa sindrome che, dopo anni in cui non ne ha potuto parlare con nessuno, con il tempo e su consiglio della psicoterapeuta Giuliana Mieli, è giunta a una consapevolezza importante: la mancanza di un utero non significa non essere femminile e non poter essere materna. La capacità di donarsi resiste anche a questo.

Visto il genere di malattia, le prime conseguenze della sindrome si avvertono alle porte dell’adolescenza. “Non avevo le mestruazioni – racconta Raffaella -, così l’ultimo anno delle medie mi portavo un assorbente rubato a mia madre e durante la ricreazione andavo in bagno con il mio pacchettino. Fingevo, mentivo per non sentirmi diversa dalle compagne. Ma qualcosa in me mi diceva che non avrei mai avuto quel dono”.

Così, a 13 anni, Raffaella  si impone con i genitori e chiede di potersi sottoporre a una visita ginecologica. Il medico scelto la tiene in cura per 7 lunghi anni, imbottendola di ormoni e facendole fare decine di esami, visite, analisi. E illudendola: “Durante le ecografie – ricorda la donna – affermava di vedere il mio utero, che non c’è”.

La svolta arriva quando Raffaella ha ormai 21 anni. È allora che incontra il professor Antonio Zarrelli, a cui basta una sola visita per capire quale fosse il problema. Le consiglia una ricostruzione vaginale e le assicura che non c’era motivo di preoccuparsi.

Oggi, però, Raffaella si definisce ancora “una donna a metà”. E non ha rinunciato ad avere un figlio. All’inizio credeva che l’unica soluzione per ragazze come lei fosse un utero da prendere “in affitto” all’estero. Ma la psicoterapeuta Giuliana Mieli, che si occupa di problemi legati alla maternità e alla sterilità, invita lei e tutte le altre donne affette dalla sindrome di Rokitansky a seguire un’altra strada: “una disponibilità affettiva così bella come quella di Raffaella andrebbe dirottata su un bimbo che già c’è piuttosto che andando a creare un essere umano attraverso l’affitto dell’utero in un’altra.

Nel frattempo, Raffaella ha conosciuto altre donne come lei e insieme a loro ha costituito l’Associazione nazionale italiana sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser. E alle giovanissime raccomanda di ricercare informazioni giuste il prima possibile. “Molte ragazze – dice – vanno dal ginecologo tardi, e scoprirti così da adulta ti rimette totalmente in discussione. Saperlo presto significa anticipare i percorsi medici ed emotivi e permette alla famiglia di essere più preparata nello stare accanto a una figlia.

 

Fonte: Avvenire