L’affido in bilico

Un cortocircuito tra ciò che “dovrebbe essere” e ciò che è: la situazione dei minori fuori famiglia in Italia, a undici anni dalla legge 149 del 2001, è ancora lontana dal veder realizzato (o reso almeno esigibile) “il diritto del minore a una famiglia”. In un anno iniziato all’insegna dell’azzeramento del Fondo sociale e di pesanti tagli a tutti i livelli, il rischio che i costi della crisi vengano scaricati sulla fascia più debole della popolazione, cioè sui bambini appartenenti a nuclei familiari in difficoltà e sui tanti accolti in affido o in comunità, è già una realtà.

Realtà che non ci restituisce nemmeno la consapevolezza di quanti siano: l’ultima rilevazione nazionale risale al 2008, la precedente al 1999. Intervalli abissali, durante i quali qualsiasi intervento può diventare inadeguato. In questo momento il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza sta realizzando una nuova ricerca campionaria che dovrebbe essere resa pubblica, almeno come anticipazione, il prossimo giugno.

Nell’attesa, sappiamo che per ogni mille residenti ci sono almeno tre minori fuori famiglia, complessivamente 30.700. Sono equamente collocati tra famiglie e strutture, ma con una netta prevalenza di stranieri – il 50% non accompagnati – e di tardo-adolescenti nelle comunità. Sappiamo inoltre che la progressiva politica di tagli che ha reso il welfare un elemento residuale delle politiche nazionali e locali ha anche ridotto all’osso le équipe dei servizi, ha reso impossibile il sostegno alle famiglie più vulnerabili, ha delegato eccessive responsabilità agli affidatari, ha spezzato le gambe alle comunità e ha persino condizionato le scelte delle amministrazioni sul destino dei bambini.

Capita che l’affido sia usato più come scappatoia per risparmiare sulle rette delle comunità, piuttosto che come una risposta meditata e realistica alla situazione del minore, e quando l’accoglienza temporanea dei ragazzi supera il termine massimo dei 24 mesi previsti dalla legge, assistiamo a reintegri “forzati” nei nuclei d’origine, anche quando non sono ancora state superate le circostanze che avevano determinato l’allontanamento. Oppure, in alternativa, vengono proposte frettolose soluzioni di adozione a cui né gli affidatari né i ragazzi stessi erano stati preparati.

 (Da Vita, Benedetta Verrini, 27 Aprile)