La Trinità non è un mistero da spiegare, ma un Altro da incontrare

trinitàPer la domenica dedicata alla Santissima Trinità, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Libro dei Proverbi (Prv 8,22-31), della Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 5,1-5) e del Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)

 

 

Come Dio, l’Unico, possa essere in tre persone, al punto che noi diciamo Trinità, e cioè Tre-unità, questo è ciò che c’è stato rivelato da Gesù e senza dubbio sorpassa la nostra intelligenza.

Non è, però, un problema di matematica, come se noi dicessimo che uno più uno più uno è uguale a uno, ma è molto di più e più profondamente una questione di relazione e di relazioni.

Dio non è una ‘cosa’ da spiegare, ma un Altro da incontrare. E quando tu incontri un altro è sempre una questione di fiducia. Ti è chiesto di accoglierlo, per quello che si manifesta, non pretendendo di ridurlo a te, di metterlo nei tuoi schemi. Nelle relazioni umane la logica più profonda non è quella di chi vuole tutto spiegare, ma è quella dell’accoglienza e dell’attesa.

È necessario lasciare che l’altro ci si possa manifestare. E questo richiede la fiducia in lui, così come lui o lei, manifestandosi, dona fiducia a noi, affidandosi.

Accade proprio così nel nostro incontro con Dio, e nel nostro incontro con Gesù, che è il Figlio.

Se noi ascoltiamo il Vangelo di oggi, ricordando che le parole del Vangelo di Giovanni sono pronunciate dal Figlio, non possiamo che essere invasi da un senso immenso di stupore e di meraviglia.

Gesù dice, all’inizio di queste parole, che egli ha da dirci ancora «molte cose»,«ma per il momento – dice ai discepoli – non siete capaci di portarne il peso».

«Per il momento», dunque. Verrà un momento, invece, in cui quel che per i discepoli era un peso insopportabile, diventerà un ‘peso’ che sarà possibile portare.

Sarà il momento in cui «verrà lui, lo Spirito della verità».

È bello che noi celebriamo questa solennità della Trinità dopo che abbiamo celebrato la Pentecoste, che è il dono dello «Spirito della verità» ‘effuso’ su tutti i discepoli – la Chiesa –, perché possano essere testimoni e annunciatori di Gesù, che è il Figlio del Padre.

Ancora nel Vangelo, Gesù dice che lo Spirito «non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future». Lo Spirito parla, si rivolge a noi, ma non ci dice cose nuove, non parla «da se stesso», rivelando qualcosa d’altro.

È un po’ misterioso quel «dirà tutto ciò che avrà udito». Questo significa che lo Spirito ci dice qualcosa di profondo, di intimo, che appartiene alla vita stessa di Dio. Nello stesso tempo, però, Gesù dice che lo Spirito «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Dunque lo Spirito ci annuncia le parole stesse di Gesù, perché in queste parole, e nelle sue opere, Gesù ci ha rivelato e comunicato la Parola e l’amore stesso di Dio.

Infatti, aggiunge Gesù, «tutto quello che il Padre possiede è mio». Dunque lo Spirito annuncia, glorificandolo, tutto ciò che ci è stato rivelato e donato nel Figlio, e tutto quello che il Figlio ha detto e fatto viene dal Padre, perché il Figlio ha tutto ricevuto dal Padre.

Il Padre dona tutto se stesso al Figlio, che dal Padre riceve tutto se stesso, e lo Spirito è questo stesso dono, nell’incessante scambio d’amore. 

«E ve lo annuncerà»: lo Spirito annuncia a noi, ci conduce dal di dentro, se lo accogliamo, ci convince che in Gesù si dona a noi la gloria di Dio.

«E vi annuncerà le cose future». Questo dono ci apre ad una speranza, ad un futuro che possiamo attendere con fiducia, un futuro che è già cominciato nelle parole e nelle opere di Gesù e che, per essere compiuto, attende solo la nostra risposta a Lui.

Questa è la ‘Verità’ alla quale lo Spirito ‘ci conduce’. È Lui che ci guida alla Verità che Dio stesso ci ha manifestato in Gesù.

Dio non è una nostra conquista, non è un’idea che abbiamo concepito o inventato noi. È lui che si è comunicato a noi e noi non potremmo accogliere questa rivelazione se lui stesso non ci guidasse, nello Spirito ad accoglierla.

La prima lettura, dal Libro dei Proverbi, è un testo bellissimo, che ci parla della Sapienza di Dio che ‘risplende’ in tutta la creazione: «gli abissi», «le sorgenti cariche d’acqua», «le basi dei monti», le «colline», «la terra e i campi», «le prime zolle del mondo»e poi ancora «i cieli», «l’abisso», «le nubi in alto», «le sorgenti dell’abisso», il «mare»e «le acque»che non oltrepasseranno i loro «confini».

Ecco, tutto questo canta la gloria di Dio, perché c’è nel mondo, nell’universo, una bellezza che ci parla della Sapienza di Dio.

Questa lettura ci parla di questa sapienza come di una donna, che fu «generata» prima di tutte le cose e che era «là» quando Dio componeva il disegno del mondo e quando formava tutte le cose.

Era «là», «con lui come artefice», quasi come un artigiano che dava forma e bellezza ad ogni cosa. 

«Ed ero la sua delizia ogni giorno». La Sapienza che pervade il mondo era la delizia e la gioia del Creatore.

Con dei toni e delle parole bellissime questo testo dice che la Sapienza, generata da Dio, ‘giocava’ «davanti a lui in ogni istante». È un’immagine di soavità, di leggerezza divina, come se il «globo terrestre» fosse il frutto del gioco di Dio.

Quasi dimenticando gli aspetti a volte drammatici della natura, qui la Parola di Dio ci conduce a guardare affascinati alla bellezza e allo splendore del mondo, per riconoscere in questa opera la bellezza stessa del Dio Creatore.

Queste parole sono state lette, da sempre, da noi cristiani, come un anticipo della rivelazione e dell’annuncio del Figlio: in Lui il Padre ha posto le sue «delizie tra i figli dell’uomo».

Tutto questo immenso movimento d’amore è per noi! Così dice Paolo, nella seconda lettura, dalla sua Lettera ai Romani.

Noi siamo «giustificati per fede»: siamo giusti perché Dio ci ha giustificati, ci ha reso degni di Lui e della sua grazia.  Perciò «noi siamo in pace con Dio e tutto questo grazie a Gesù.

È Lui che ci ha donato la pace e la riconciliazione con il Padre.

Tutto questo ci permette di affrontare le «tribolazioni», gli affanni, le sofferenze, le prove della vita con pazienza e speranza. Due bellissime virtù, che noi non possediamo da noi stessi, perché sono fondate sulla grazia di Dio.

E per grazia è «l’amore di Dio», la sua sovrabbondante bontà verso di noi, che è ‘riversata’ in noi, «nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato».

Ecco di nuovo il dono dello Spirito: è l’amore di Dio che è riversato in noi, come una sorgente inesauribile e zampillante, per sempre, perché non perdiamo mai la speranza e la pazienza.

È da questo amore che nasce la nostra pace!