Milano. Fratelli per una notte: 9 bambini per una volta a settimana hanno lo stesso papà

papàx9Una vita normale, “perfetta” nei suoi equilibri: un lavoro, una famiglia propria, dei figli, una serenità economica. Ma non basta. C’è una sorta di smania e di inquietudine che ti spinge a fare altro: di andare oltre. Di guardare soprattutto oltre il tuo “orticello”. E’ quello che ha fatto Carlo Molho, 50 anni, milanese, consulente manageriale nell’immobiliare, e padre di due figli di 13 e 16 anni.

Una notte a settimana Molho diventa una specie di papà di 9 ragazzini, dai 5 ai 13 anni, in una comunità che fa capo al CTiF, centro per la cura del trauma nell’infanzia e nella famiglia. L’attività da volontario per Carlo è cominciata casualmente, grazie a un’amica che lo ha coinvolto, ma era da tempo che pensava «di fare un’esperienza di questo genere, di mettermi per così dire in trincea e non dare solo supporti finanziari a qualche ente benefico», spiega. In questa comunità ci sono bambini che hanno subito traumi così forti da mettere a rischio la loro salute psicologica e fisica. «Il mio contributo è dare sostegno ai piccoli e aiutare gli educatori che, essendo pochi, fanno molta fatica», racconta Molho.

La sua “giornata tipo” è semplice ma intensa: arriva alle sette e mezza di sera, aiuta a preparare la cena («anche se non sono un granché come cuoco», dice modestamente) oppure talvolta la porta già fatta da casa o la compra. «A tavola chiacchieriamo, parliamo di molti argomenti, anche di attualità», continua. «Dopo mangiato, sto insieme ai bambini  e qualche volta do una mano a chi deve finire i compiti. Poi arriva la fase più delicata, il momento di andare a letto».

Mamma e papà non ci sono e tutte le paure e le angosce col buio vengono fuori. Molho cerca di usare un po’ di  fantasia. «I bambini vogliono storie sia lette sia vere, anche inventate. Spesso devo crearne di strampalate. Spesso mi fanno parlare di me, chiedono se i miei figli vanno bene a scuola o mi ubbidiscono. Un po’ anche per fare confronti».

La notte di solito passa tranquilla, se non è interrotta da incubi, malesseri, pipì notturne che nella stragrande maggioranza dei casi gestisce l’educatore in turno. «Sveglia alle 6 e mezza, con la preparazione della prima colazione per tutti. Il mio “lavoro” finisce alle 8, dopo aver accompagnato qualche bambino a scuola e vado a casa o direttamente in ufficio. Qual è la difficoltà del volontario un giorno a settimana? «Devo fare attenzione a non sostituirmi alla figura genitoriale, a non affezionarmi troppo, anche perché si tratta di bambini per i quali la comunità rappresenta un passaggio più o meno lungo e che, compiuti 13 anni, se non tornano con i genitori o non vanno in affido o in adozione, vengono dirottati in altre strutture.

Molho finisce con una nota d’ottimismo: “Si ha spesso la sensazione di riuscire a dare un piccolo contributo per aiutare molti bambini a riappropriarsi dell’infanzia rubata e far accettare la dicotomia presenza/assenza di genitori, spesso non cattivi, ma incapaci o inadeguati. E’ un arricchimento interiore, non solo per me stesso”.

Fonte (Corriere.it)