Nepal: i santoni vietano l’ospedale e il parto si trasforma in tragedia

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“Quando è venuto il momento di partorire, alcune donne del villaggio sono entrate nella stanza e mi hanno trascinato dentro una stalla. Ero terrorizzata. Mi hanno legato mani e piedi con una corda a un palo e hanno iniziato a spingere il mio ventre. Dopo ore di dolore è nato mio figlio”. Succede nel villaggio nepalese di Bicchiya Gumba (nel distretto Bajura).

A raccontarlo alla rivista del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), è una donna di 31 anni di nome Chhamu Thapa, costretta a dare alla luce il proprio figlio osservando le antiche tradizioni buddiste e indù che vietano di andare in ospedale.

E non è finita qui, poichè una volta nato, il piccolo è obbligato a stare nella stessa stalla con la madre per altri 13 giorni. Se riescono a sopravvivere a questo periodo di buio e di freddo, un santone li “benedice” spruzzando dell’acqua ritenuta sacra. Solo allora possono ritornare a casa. E se muoiono? “E’ perché avranno commesso qualche grave peccato”, sentenziano gli anziani del villaggio.

Le conseguenze sono disastrose: nei villaggi nepalesi la prima causa di morte rimane il parto. Il governo ha tentato di porre freno a queste “pratiche religiose”, ma a vincere nei villaggi è una terribile omertà che copre e giustifica tali soprusi.

I progetti di Ai.Bi. in Nepal