Nepal: In Nepal i bambini in istituto sono in cerca di aiuto

Questa settimana in molti quotidiani nepalesi si è parlato della condizione dei bambini che vivono in istituto o in case-bambino (children home), delle problematiche che affrontano e della mancanza di prospettive per il futuro. Heera, 14 anni, vive in istituto da 10 anni. La bambina racconta all’intervistatore di come, in tutti questi anni in istituto, non ricorda di aver mai mangiato un pasto completo. I cibi serviti, dice, non sono assolutamente gustosi, né tanto meno ricchi e nutrienti. Pertanto, molte sono le volte in cui è andata a letto a stomaco vuoto. Simile esperienza viene raccontata anche da Gueeta, 12 anni, la quale anche lei vive in istituto da 3 anni. Originaria di Bardiya, la bambina si lamenta di come il cibo non sia assolutamente buono o nutriente. Ritornare a casa, purtroppo, non è un’alternativa per Gueeta, mentre le prospettive per il futuro sembrano altrettanto limitate. I bambini che si trovano in istituto e case-bambino provengono da background differenti. Ancora oggi, sfortunatamente, la povertà costituisce il motivo per cui molti bambini finiscono in istituto. Molti bambini hanno entrambi genitori o un genitore ma, a causa delle condizione economiche precarie delle famiglia, sono costretti a rimanere in istituto per poter avere una minima possibilità di accedere all’educazione e ai servizi sanitari. Altri bambini, sono figli di carcerati; altri ancora si trovano in istituto poiché i genitori non possono prendersi cura di loro debitamente o sono analfabeti. Pochi sono i bambini che sono effettivamente orfani e non hanno nessuno che si possa prendere cura di loro. Molti istituti sono stati costruiti con l’intenzione di ricreare un’atmosfera accogliente, dare un’educazione e facilitare l’accesso ai servizi sanitari a tutti quei bambini ‘sfortunati’. A causa del mancato supporto da parte del governo nepalese, l’assenza di fondi o donazioni, quindi l’acuirsi dei problemi economici affrontati da tali strutture, molti sono i bambini che come Heera e Gueeta ne pagano le conseguenze. Provvedere il cibo, l’accesso all’educazione o ai servizi sanitari, persino pagare il personale che dovrebbe prendersi cura di questi bambini diventa molto difficile, se non impossibile. Molte sono le organizzazioni e le NGOs che si battono affinché venga istitutivo un sistema paese di cura alternativa (alternativa care) per questi bambini, e rappresentare quindi una vera alternativa all’istituzionalizzazione. Tra le varie proposte vagliate, sicuramente vi sono gli sforzi tesi a reintegrare i bambini nelle loro famiglie biologiche, magari attraverso un supporto economico alla famiglia che riesca ad abbattere gli ostacoli posti dalla povertà e dell’analfabetismo. Qualora questa via non sia percorribile, allora la scelta si dirige verso il kinship care, ovvero la sistemazione dei bambini presso i parenti e la famiglia allargata, fino a considerare la via dell’adozione nazionale e internazionale. Da parecchi anni, AiBi opera in Nepal con diversi progetti di cooperazione, volti a supportare i bambini vulnerabili e le oro famiglie. Ai.Bi, in particolare, è tra quelle poche organizzazioni che ancor oggi si batte per dare una famiglia a quei bambini per i quali altre alternative non sono percorribili, e pertanto sono condannati ad una vita in istituto con nessuna prospettiva per il futuro.