Quei pregiudizi sui miei amici, che aumentano il divario fra la Siria e il mondo

Mi sono domandato tante volte quale sia la ragione del disinteresse generalizzato verso la tragedia che colpisce il popolo siriano, in Italia e non solo. Ne ho scritto spesso, interrogandomi sulle possibili cause, e in parte credo di averle individuate, con il supporto di esperti, editorialisti, ma anche degli stessi colleghi e amici siriani. Eppure non mi rassegno.

Non mi rassegno all’idea che si possano – consapevolmente o meno – fare discriminazioni di alcun genere, geografico, politico, culturale, etnico o religioso. Perché la sofferenza e il dolore – al contrario – non fanno distinzioni, e colpiscono indiscriminatamente ciascun essere umano, a prescindere dal credo o dal colore della pelle.

Perché i bambini sono e rimangono bambini, a qualunque latitudine si trovino, siano essi nigeriani, ucraini, nepalesi o – per l’appunto – siriani: costituiscono un patrimonio comune che dovremmo preservare e difendere, specie quando sono minacciati da tanta, bestiale ferocia.

Perché la compassione, la solidarietà e l’accoglienza non si possono dispensare in base a criteri prestabiliti o “meritocratici”, ma secondo la misura del cuore. Con tutti i rischi che la libertà e la carità comportano, quando scegliamo di aprirci verso l’altro, il diverso, il Prossimo.

Alle volte mi sento un privilegiato, perché grazie al mio lavoro ho la possibilità di vedere e valutare questa crisi da una prospettiva diversa. Dei tanti siriani che ho potuto conoscere fino a oggi, non ce n’è uno – dico uno – che non mi abbia saputo stupire per generosità, accoglienza, ospitalità, ma anche forza, determinazione, coraggio. Che non mi abbia mostrato rispetto e amicizia, in un modo o nell’altro. Anche per questo fatico a digerire certi pregiudizi diffusi, che contribuiscono solo ad aumentare il divario fra la Siria e il mondo, e a giustificare indirettamente l’omissione di soccorso.

Certo, fintanto che i mezzi d’informazione continueranno ad associare i siriani all’ISIS (in gran parte composta da combattenti stranieri) o ai “terroristi” pronti a sbarcare sulle coste italiane (leggi: “famiglie disperate che fuggono dalla guerra e dalla persecuzione”), ci sarà ben poco spazio per la verità e i fatti. Così come per la pietà e la partecipazione autentica a un dramma senza precedenti, che non sembra scuotere né le nostre coscienze, né le nostre certezze.

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.