“Se mi avessero aiutata, non avrei abortito”. Tutti i dati sulla situazione aborto in Italia

Di Barbara Ghiringhelli *

Che oggi la grande maggioranza degli aborti in Italia trovasse origine non in problematiche e necessità  mediche ma  in ragioni economico-sociali, lo si sapeva già: ma che la povertà che oggi va a pesare sulla decisione dell’aborto non è solamente quella economica ma anche quella sociale e relazionale, deve invitarci a una nuova riflessione e azione. Anche perché le donne che hanno portato a termine questi aborti, se aiutate, avrebbero fatto un’altra scelta. Sono loro stesse a dirlo! Povertà relazionale e solitudine che si declina anche nell’assenza di reali informazioni e comunicazioni sulle possibili alternative all’aborto e sui percorsi per il non riconoscimento del figlio alla nascita.

I primi dati della ricerca Un’alternativa all’aborto: l’adozione!,commissionata dal Consorzio Preferire la Vita all’Università IULM, mettono in risalto la poca conoscenza delle donne sulle possibili alternative all’aborto, compresa la possibilità del parto in anonimato. La preoccupazione è che anche coloro che per “legge” dovrebbero svolgere questa importante funzione in ordine al reale accompagnamento della donna in difficoltà, cioè i servizi, dichiarano di non essere adeguatamente informati e competenti nel presentare alla mamma le alternative sia per la non conoscenza delle procedure sia per una difficoltà relazionale e comunicativa con le donne su tale questione.

Questi i dati: oltre il 30% degli operatori dei servizi pubblici contattati nell’ambito della ricerca (raggiunti 150 soggetti del Pubblico e del Privato Sociale, di cui il 45% del Pubblico) valuta il proprio servizio e la propria competenza non adeguatamente preparata nella gestione dell’accoglienza di donne in gravidanza che chiedono informazioni e aiuto nell’accedere ad alternative all’aborto.

Un po’ meglio il privato sociale, che si dichiara più preparato all’accoglienza e all’accompagnamento della donna alle possibili alternative all’aborto. Dato di grande preoccupazione anche la valutazione sulla propria preparazione e competenza sul parto in anonimato. E questo lo si riscontra sia tra gli operatori del pubblico sia del privato sociale. Se tra gli operatori del pubblico si riscontra una maggiore conoscenza di tale possibilità (il 70%, ma dovrebbe essere il 100%, anche per il compito loro riconosciuto dalla legge), il 50% degli operatori del privato sociale dichiara di avere una scarsa informazione sulla procedura, risultando comunque essere i servizi che maggiormente comunicano tale informazione e propongono questa possibile alternativa alle mamme.

Infine, fa riflettere anche il dato sulla gestione e accompagnamento delle donne nel post-aborto: è in questa condizione che tutti gli operatori si sentono deficitari, più che nella competenza nell’azione. Questa insufficienza è grave, nella consapevolezza dell’importanza di tale supporto per la donna ma anche per la prevenzione della recidiva, se pensiamo che in Italia i dati ufficiali ci presentano un quadro in cui il  27% delle donne che hanno abortito nel 2010 sono donne con un precedente aborto, nel 21.9% dei casi italiani e nel  38,2 dei casi quando la donna è straniera, casi che sul totale degli aborti, il cui numero è di 118.579, sono ben il 33, 4%.

Tale consapevolezza fa chiedere agli operatori un investimento nel lavoro di rete, una formazione specifica nell’ambito delle alternative all’aborto e del parto in anonimato e la necessità di confrontarsi su strade e percorsi relazionali e comunicativi in queste situazioni specifiche. Tale richiesta è accolta dal Consorzio che nell’autunno del 2012 proporrà un percorso di formazione comune per operatori del pubblico e del privato sociale, con l’obiettivo di promuovere la competenza sulle alternative all’aborto, sul parto in anonimato e sull’accoglienza e accompagnamento delle donne in questi casi.

*Ricercatrice IULM, intervenuta nel corso del Convegno “Oltre l’aborto, la speranza nell’abbandono”