Trasparenza nell’adozione internazionale: l’Italia sta rispettando i sei punti dell’Aja?

trasparenzaSe c’è una causa della crisi globale dell’accoglienza adottiva su cui sono tutti d’accordo, questa è una generale mancanza di trasparenza in termini di costi. Un virus che ha infettato l’adozione internazionale a livello mondiale. Tanto da indurre il Permanent Bureau de L’Aja, l’istituzione chiamata a sorvegliare sulla corretta applicazione della Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori, a elaborare una serie di linee guida che portino al totale rispetto dei principi di trasparenza contabile. Buone prassi raggruppate in “sei punti” a cui anche l’Italia, come Paese ratificante della Convenzione, è chiamata ad attenersi. Ma non sempre lo fa.

Innanzitutto, per quanto riguarda la trasparenza dei costi, L’Aja raccomanda di “assicurarsi che tutti i pagamenti siano effettuati tramite bonifico bancario verso un conto ben definito”. I pagamenti in contanti, insomma, devono essere vietati. Il nostro Paese prevedrebbe il rispetto di tale normativa, ma in genere non compie alcuna verifica per controllare che ciò avvenga davvero. Tanto che non è raro che emergano situazioni in cui le cose vanno molto diversamente: quella dei contanti in nero che molte coppie si vedono costrette a portare all’estero è una delle piaghe che maggiormente affligge l’adozione internazionale in Italia. L’Aja chiede anche che vengano sempre dettagliate le destinazioni di spesa dei costi sostenuti dalle coppie. Ma anche in questo caso, l’Italia, pur approvando a parole l’indicazione del Permanent Bureau, lascia che nei fatti le cose vadano diversamente.

In secondo luogo, L’Aja chiede di impostare costi e spese ragionevoli. A questo scopo, il Permanent Bureau raccomanda agli enti di “retribuire i professionisti con un compenso mensile, quando il numero delle adozioni lo permette”. Ciò al fine di evitare che, chi lavora per un ente autorizzato, cerchi di realizzare più adozioni del consentito solo per aumentare il proprio profitto personale. Un pericolo su cui l’Italia non mai intervenuta in modo chiaro.

Al terzo punto delle buone prassi, L’Aja chiede ai Paesi di “prevedere un metodo di facile accesso che permetta alle coppie e agli altri attori di segnalare ogni tipo di abuso, anche in forma anonima”. In Italia questo attualmente non è possibile. Il numero verde della Commissione Adozioni Internazionali, a cui un tempo era possibile affidare le segnalazioni, oggi esiste solo sulla carta, ma di fatto è sospeso.

Anche sulla prevenzione e la lotta a ogni profitto indebito, l’Italia ha mantenuto un atteggiamento fino a ora piuttosto “timido”. Non ha mai imposto esplicitamente agli enti, per esempio, di fare monitorare e controllare le proprie attività richiedendo un audit esterno annuale. Quando ciò è avvenuto, è stato per iniziativa spontanea dell’ente che ha fatto certificare il proprio bilancio da un organismo esterno. Neppure la stessa Cai, del resto, è puntuale nell’effettuare verifiche periodiche sugli enti per assicurarsi che la loro situazione finanziaria sia regolare.

Per quanto riguarda contributi a progetti di cooperazione e donazioni, il Permanent Bureau raccomanda di prestare attenzione prevalentemente a due aspetti. Il primo: se per un verso gli enti autorizzati sono tenuti a cooperare con i Paesi in cui operano, dall’altro si chiede di interrompere questa cooperazione qualora si verifichi che un Paese non assicuri un corretto e trasparente impiego dei fondi ricevuti. Allo stesso tempo, si chiede alle coppie di verificare, quando i contributi vengono richiesti da un ente autorizzato, che l’importo sia stato fissato dal Paese di origine e non dall’ente o da un orfanotrofio con cui l’ente stesso potrebbe essere legato da partnership.

Infine, il Permanent Bureau chiede sanzioni appropriate, chiare ed efficaci per chi crea o favorisce situazioni irregolari. Ma anche in questo caso, il nostro Paese non si è mai pronunciato con decisione: le sanzioni sono previste, ma stabilite solo in forma generica.

Per garantire una reale trasparenza finanziaria, l’Italia deve dunque percorrere ancora molta strada. Perseverando nel rispetto delle buone pratiche che ha già adottato e soprattutto trasformando in fatti concreti le linee guida che, fino a ora, ha abbracciato solo a parole o ha completamente trascurato.