Un Garante per i diritti dei figli adottivi

garante200Tornato di stretta attualità l’autunno scorso dopo la sentenza della Corte costituzionale (n. 278/2013), il tema dell’anonimato della madre biologica (o «naturale») è attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera. Le varie proposte di legge mirano a fornire una risposta legislativa al monito dei giudici costituzionali, i quali avevano sostenuto l’illegittimità di una disposizione della legge sulle adozioni (la legge 184/1983), che, così come modificata dal Codice privacy, comportava un elemento di eccessiva rigidità nella fruizione di un diritto individuale, rendendo irreversibile la scelta per l’anonimato fatta al momento del parto e negando la possibilità di una qualsiasi “relazione di fatto” tra madre naturale e figlio, a prescindere dalla genitorialità giuridica.

Se l’irreversibilità della segretezza, derivante dalla “cristallizzazione” di una scelta avvenuta al momento del parto, è in contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, lo spazio che la Corte lascia al legislatore – e che tutte le proposte depositate correttamente colgono – è relativo alle modalità attraverso cui inserire una maggiore flessibilità nella disciplina.

Il cuore del problema è, dunque, come garantire un punto di equilibrio tra il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e la tutela della riservatezza della donna. Conseguentemente a ciò, la flessibilità invocata dalla Corte come possibilità di modificare la segretezza può estrinsecarsi sostanzialmente in due modi. Fermo restando che deve essere il figlio ad avanzare la richiesta d’accesso, la madre può, a prescindere da una concreta richiesta:

– rinunciare in generale all’anonimato (Atto Camera 1343, Campana; Atto Camera 1989 Rossomando)

– oppure essere chiamata a scegliere solo al momento della formalizzazione della richiesta da parte del figlio (Atto Camera 784, Bossa; Atto Camera 1874, Marzano; Atto Camera 1901, Sarro).

Stabilito ciò, la domanda successiva è se affidare interamente il procedimento di accesso alle informazioni al Tribunale per i minorenni oppure se, in considerazione della particolare delicatezza del momento per tutti i soggetti coinvolti, inserirvi un elemento stragiudiziale, capace di rendere meno rigidi alcuni passaggi tipici del procedimento giurisdizionale.

Volgendo lo sguardo al di fuori del nostro ordinamento, ritroviamo, ad esempio, questa maggiore flessibilità in Francia, dove nel 2002 si è stabilito che, ad esaminare le richieste di accesso e le disponibilità alla rinuncia del segreto, fosse un organo ad hoc a composizione mista, in cui siedono giudici, rappresentanti del ministero degli affari sociali, degli enti territoriali e del mondo dell’associazionismo, in una logica di cooperazione orizzontale tra tutti i soggetti che assisteranno madre e figlio nell’eventuale percorso di conoscenza. La legge n. 2002-93 è stata peraltro giudicata positivamente dalla Corte di Strasburgo nel caso Odièvre c. Francia.

Questa forma di cooperazione inter-istituzionale potrebbe essere trasposta in Italia con un coinvolgimento del Garante privacy e potrebbe tradursi sia nella partecipazione a una commissione mista, sul modello francese, sia, nel caso in cui il Parlamento preferisca confermare l’esclusiva competenza del Tribunale per i minorenni, nella tenuta da parte del Garante di un registro che raccolga la disponibilità preventiva delle donne a rinunciare all’anonimato.

La logica, come peraltro significativamente emerge anche da uno dei progetti di legge depositati alla Camera, sarebbe quella di integrare, in un’ottica cooperativa e con le forme e i tempi di un’Autorità amministrativa indipendente, un percorso che altrimenti sarebbe tutto giurisdizionale, avendo come imperativo quello di cautelare in termini rigorosi il diritto all’anonimato delle donne, sia che decidano di ripensare la scelta originaria sia che da quella scelta non intendano recedere.

Di Licia Califano – Ordinario di diritto costituzionale, componente del Collegio dell’Autorità Garante per la privacy