Unioni civili e accesso alle origini: battaglia in Parlamento per salvaguardare il valore della famiglia e il diritto alla vita

senatoIl destino della famiglia e dei rapporti tra genitori e figli adottivi sono al centro dei lavori parlamentari di questa settimana. Le Commissioni Giustizia del Senato e Affari Costituzionali e Politiche Sociali della Camera stanno infatti discutendo sui disegni di legge Cirinnà e Bossa che riguardano rispettivamente le unioni civili e il diritto dei figli non riconosciuti alla nascita di accedere alle informazioni sulle proprie origini.

Per quanto riguarda il primo, è scaduto lunedì 11 maggio il termine per la presentazione degli emendamenti al testo base del ddl. Quasi 3mila quelli presentati dai senatori del Nuovo Centrodestra, sui circa 4mila totali. La posizione di Ncd è presentata dal suo capogruppo in Commissione, Carlo Giovanardi: “Se si vuole agire sul piano dei diritti dei conviventi – ha detto – nello spirito di quanto ci chiede la Consulta e la Cassazione, senza aprire ad adozioni, reversibilità e utero in affitto, siamo pronti a votare anche domani. Ma la relatrice Cirinnà ha sposato una tesi per noi inaccettabile equiparando le unioni ai matrimoni uomo-donna. Numerose perplessità sulla possibile equiparazione tra unioni civili e famiglia tradizionale anche nel Partito Democratico. La senatrice Fattorini ha proposto infatti un emendamento che chiede la creazione di un nuovo istituto giuridico distinto dalla famiglia basato sugli articoli 2 (sulle formazioni sociali) e 3 (sui principi di uguaglianza) della Costituzione e soprattutto su una netta distinzione dall’articolo 29 sulla famiglia.

Martedì 12 maggio le Commissioni esprimeranno invece il loro parere definitivo sul ddl Bossa, la cui discussione nell’aula di Montecitorio dovrebbe iniziare venerdì 15. Riguardo all’accesso alle informazioni sulle origini, la legge attuale, datata 1983, prevede che, superati i 25 anni, il figlio non riconosciuto alla nascita possa fare istanza al Tribunale per i minorenni per sapere dei propri genitori biologici. Nel caso in cui, al momento del parto, la madre abbia chiesto esplicitamente di non essere nominata, il giudice non può autorizzare la divulgazione del suo nome. Secondo il ddl in discussione, invece, i figli non riconosciuti, sempre al compimento dei 25 anni, potrebbero chiedere al Tribunale di provvedere a contattare i genitori biologici per domandare loro l’autorizzazione al superamento del vincolo di segretezza.

Su questo tema interviene il presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli, che propone 2 strade diverse tra i figli non riconosciuti alla nascita e adottati e quelli nati da fecondazione eterologa. “Nel caso del parto in anonimato – afferma il deputato di Per l’Italia – deve prevalere la richiesta della mamma, considerando che queste nascite sono spesso a rischio aborto o infanticidio. Nel caso dell’eterologa potrebbe invece prevalere il diritto alla conoscenza delle proprie origini. Il ddl Bossa prevede che alle madri venga chiesto se sono disposte a rinunciare all’anonimato, “ma rischia di essere emotivamente dirompente e capace di sconvolgere le relazioni familiari nel frattempo ricostituite”. “Se una persona invece fa nascere un bambino ricorrendo ai gameti di un genitore diverso da sé o dal proprio partner – spiega Gigli –, è giusto riconoscere a quel bambino, diventato adulto, il diritto di conoscere i propri genitori biologici. Qui non è a rischio il diritto alla vita e la diversità biologica è stata cercata. Anzi, la trasparenza potrebbe essere un deterrente alla compravendita dei gameti. Il dovere del Parlamento, conclude Gigli, è quello di “anteporre a ogni altra considerazione il diritto alla vita del nascituro e quello della donna a partorire in condizioni di sicurezza.

 

Fonti: Avvenire, La Stampa