“25 colloqui per ottenere un’idoneità mai arrivata”

Gianna scrive:

Gentili Sig., siamo una coppia che vuole sottoscrivere il Manifesto, contro la legge che l’anno scorso ci ha vietato di adottare un figlio. Abbiamo effettuato tutto il percorso di gruppo, il percorso presso l’ente e circa 20/25 colloqui presso l’ULSS di V., dove due psicologhe hanno reso praticamente uno zimbello mio marito. Praticamente dopo ogni colloquio anziché sentirci più uniti litigavamo. Se la sono presa con mio marito perché alla domanda se preferisse un figlio bio (come lo chiamano loro) o adottato, ha giustamente risposto un bambino bio. Ora se abbiamo deciso di adottare un bambino è perché ci siamo guardati a quattr’occhi e abbiamo deciso di affrontare il percorso, soprattutto visto che mio marito, essendo imprenditore, tutti i permessi dal lavoro non glieli ha pagati nessuno ed io sono una sua dipendente.

Circa 20/25 colloqui: oramai avevamo perso il conto. Portavano via mezza giornata. Alla fine degli ultimi 10 colloqui, quando mio marito ha detto: “Sì, vorrei un figlio adottato”, io sono scoppiata, dicendo: “Ora che avete sentito ciò che volevate sentire, siete contente? Mio marito alla fine è stato sincero, cosa dobbiamo fare, abortire se per caso il Signore dovesse darci la grazia di avere un figlio bio? Saremmo i più contenti di questa terra, ne avessimo due o tre non importa”. Ero veramente esausta… Alla fine di tutto NON siamo IDONEI.

Grazie e scusate lo sfogo.

Cara Gianna:

davanti alla sua lettera si presenta, fortissima, una tentazione. Quale? Quella di dirsi: “Non c’è nulla da fare. Non si può fare null’altro, contro gli abusi di questa burocrazia, che rimanere senza parole, e arrendersi”.

Ma è una tentazione alla quale ogni coppia aspirante deve abituarsi a opporre resistenza. Perché? Per il motivo che la coppia, che – guardandosi negli occhi, come lei ha meravigliosamente scritto – decide di adottare , ha già concepito nel suo cuore un atto di giustizia. Quello sguardo infatti è l’inizio di un percorso d’amore, è il momento stesso in cui si cementa un’intesa tra i coniugi e li forma a portare avanti la loro determinazione.

È drammatico quello si legge nella sua lettera, Gianna. Ma non può, non deve essere l’ultima parola. Ai.Bi., composta da famiglie che hanno provato a loro tempo e che tutt’ora provano le difficoltà che voi stessi state soffrendo, è abituata da trent’anni a sopportare sulla propria carne affronti come quello da lei descritto: l’eccesso di zelo di alcuni servizi locali, l’abuso di giudizio e di indagine di molti giudici dei Tribunali dei Minori. Quel che avete subito è un affronto ed è clamoroso che una coppia innamorata, provvista di un lavoro stabile e di una sicurezza economica, debba ricevere addosso una croce di addirittura 20, 25 colloqui.

Voi più di venti, altre coppie meno di cinque: è una disparità di trattamento intollerabile. È in corso nel nostro Paese un ostruzionismo selettivo, che ostacola gli atti di giustizia come il vostro, e che deve finire.

Per questo Ai.Bi. intende portare avanti la proposta di riforma, costi quel che costi. L’Italia deve capire che adottare dev’essere l’atto più naturale del mondo.

Non scoraggiatevi: andate avanti, come non poche famiglie adottive prima di voi hanno fatto a loro volta, ogni qual volta hanno dovuto ricominciare e rimettersi in cammino. E se la vostra vi sembrerà una lotta controcorrente, ricordatevi dell’amore contenuto in quel vostro primo sguardo, scambiato a quattr’occhi.

L’amore di quello sguardo salverà un bambino abbandonato.

Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini