Mostrare immagini strazianti di bambini offende la loro dignità? I lettori di Aibinews bocciano la pornografia del dolore

donazioniAnche nelle cause sociali il fine giustifica i mezzi? Oppure mostrare le immagini strazianti di bambini fortemente denutriti allo scopo di sensibilizzare gli spettatori per indurli a effettuare una donazione può essere considerato uno sfruttamento del dolore? Nell’intenso dibattito nato dal lancio, da parte di una famosa organizzazione non governativa internazionale, di uno spot che vede come protagonista un bambino africano di 2 anni vittima di malnutrizione, una parte importante ce l’ha anche la società civile, destinataria della comunicazione proveniente dal mondo del non profit. Un dibattito sul quale Aibinews ha interpellato i suoi lettori. I quali hanno preso una posizione decisamente netta. Secondo la maggioranza di essi, infatti, esibire la sofferenza dei più deboli in modo così crudo è una violazione della loro dignità.

Alla domanda “Mostrare immagini drammatiche di bambini sofferenti per campagne di raccolta fondi è una violazione della loro dignità?”, il 78% dei lettori di Aibinews ha risposto di sì, mentre solo il 22% non la considera tale. Più di 3 partecipanti al sondaggio su 4, quindi, bocciano la forma di comunicazione scelta da questa ong internazionale.

Sono d’accordo quindi con la rivista “Africa, missione e cultura” che per prima aveva criticato lo spot in questione, chiedendo provocatoriamente se fosse “lecito ‘sbattere il mondo in prima pagina’, specie in questo caso in cui il mostro si identifica con la vittima”. Nel botta e risposta sull’utilizzo delle immagini nella raccolta fondi, tra chi sostiene che il fine giustifichi i mezzi e chi invece bolla questo modo di fare fundraising  come ‘pornografia del dolore’, i lettori di Aibinews si schierano dalla parte di questi ultimi.

La società civile, quindi, si è dimostrata in grado di cogliere il meccanismo che sta alla base di quelle campagne promozionali che utilizzano la sofferenza. Campagne che cercano di ottenere una donazione toccando le coscienze delle persone e mostrando loro gli sguardi di bambini scheletrici con le pance gonfie, accompagnati da voci fuori campo che, alle immagini penose, aggiungono dati drammatici per poi suggerire il lieto fine: il sostegno a un progetto o a un intervento può incidere sulla situazione appena descritto. E il donatore è felice di contribuire alla soluzione di un dramma. Troppo spesso, però, questo canovaccio dimentica l’etica. È partendo da questa consapevolezza che il direttore esecutivo di AOI (Associazione organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale), Nino Santomartino, ha lanciato l’appello per la costruzione di un tavolo di lavoro volto a individuare un codice di condotta comune in materia di etica della comunicazione. In Italia, infatti, non esiste ancora un codice concordato a livello settoriale dalle ong che fissi regole minime su come veicolare immagini e messaggi relativi ai contesti in cui operano le organizzazioni di Terzo Settore.

Serve quindi che si costituisca al più presto “un gruppo di lavoro snello”, come lo definisce Santomartino, che comprenda organizzazioni non profit, realtà della comunicazione e dell’informazione, professionisti, consulenti e ricercatori. È evidente quindi, in questo quadro, il ruolo della società civile. In gioco c’è la credibilità del non profit e la tutela della dignità umana, a cominciare da quella dei bambini.

 

Fonte: Unimondo