Giorgio Ponte: “Davanti a una legge che espone il fianco a una sorta di ‘produzione’ di bambini, da omosessuale faccio un passo indietro, per il bene delle nuove generazioni”

giorgio ponte

Se qualcuno fosse convinto che i 2 milioni di persone accorse al Family Day fossero contro i diritti degli omosessuali, a smentirlo interviene Giorgio Ponte. Scrittore palermitano ma milanese d’adozione, 31enne, sabato 30 gennaio Giorgio era al Circo Massimo.E, da persona con tendenze omosessuali, si rivolge agli omosessuali spiegando loro che quella piazza non intendeva imporre agli altri un particolare modo di vivere la propria vita, ma semplicemente ricordare che non possiamo non riconoscere la diversità naturale tra uomo e donna. Qualcosa che viene prima del desiderio e delle inclinazioni di ciascuno di noi.

“La vita è generata da un uomo e una donna, per quanto possiamo fingere che non sia così, e non c’è fecondazione eterologa o maternità surrogata che possa negarlo. Senza una cellula maschile e una femminile, quel miracolo non avviene– spiega Giorgio -.Basta che ciascuno ripensi alla sua storia. Tutti noi abbiamo avuto dei genitori che, anche se fossero stati i peggiori del mondo, rappresentano le nostre radici, dei punti di riferimento con cui confrontarsi. Un bambino nato da un utero in affitto non avrà mai questa possibilità.

Per questo Giorgio Ponte dice “no” al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili: una proposta che, autorizzando la stepchild adoption, apre di fatto la strada a tutte le forme di fecondazione eterologa. “Davanti a una legge che espone il fianco a questa sorta di ‘produzione’ di bambini – dichiara categorico il giovane scrittore – da omosessuale faccio un passo indietro, per il bene delle nuove generazioni. Conosciamo bene le sofferenze di un bambino abbandonato, a cui la vita ha tolto un papà e una mamma. Ebbene, con l’utero in affitto non faremmo altro che mettere al mondo neonati privati fin dalla nascita di uno dei genitori.

Una coppia omosessuale con un bambino nato da maternità surrogata, argomenta Giorgio, non potrà mai dire di avere generato quel figlio“Al massimo il genitore sarà uno – evidenzia Ponte -. Non si potrà parlare davvero di 2 mamme o 2 papà. Sarebbe una bugia, una genitorialità di questo tipo nasce comunque da un uomo e da una donna, che lo si dica o meno. Si nasconde la verità sotto falsi nomi”.

Ecco perché, a suo parere, il ddl Cirinnà è una legge “riduttiva nei confronti degli omosessuali, poiché rende indifferenziati i sessi, dicendo che due uomini sono uguali a un uomo e una donna, e li identifica in base all’attrazione sessuale, di per sé mutevole e condizionata da mille fattori”. Quegli omosessuali che non si ritrovano in questo modello antropologico, dice Giorgio, hanno un ruolo centrale in questo dibattito perché potrebbero aiutare le opposte fazioni a capirsi, a comprendere le esigenze vere degli uni e degli altri. “Purtroppo gli omosessuali cattolici sono ancora visti, paradossalmente, come se fossero contro chi ha tendenze omosessuali. Potrei mai io essere contro me stesso?”, si chiede lo scrittore.

Il quale ammette di sentire anche lui, com’è naturale, il desiderio di paternità. Ma riconosce anche che la visione della genitorialità come un diritto sia assolutamente distorta“È una visione adolescenziale e molto diffusa oggi – dice -, secondo cui tutto ciò che voglio lo devo avere. Invece dobbiamo riconoscere che la libertà di ciascuno non è illimitata e indipendente da ogni confine, fisico e morale”.

Per cominciare si potrebbe superare l’idea che un bambino sia la prova concreta dell’efficacia di una coppia. “Una coppia ‘funziona’ se è capace di generare un figlio: questa è l’opinione che si sta diffondendo. E quindi si cerca di ottenerlo con ogni mezzo. Ma con questa idea ci si arroga il diritto di affermare un proprio bisogno giocando sulla vita degli altri, i bambini, denuncia Ponte.

La genitorialità invece è un dono – conclude -. E si può essere ‘genitori’, nel senso di dare la vita, quando si smette di mettere al centro solo sé stessi e si mettono al centro gli altri. Così si è aperti alla vita e contemporaneamente si riesce ad affrontare il dolore della propria condizione, qualora essa non permetta di mettere al mondo un figlio”.