“Lazzaro, vieni fuori!” Il grido di Gesù spezza il silenzio della disperazione e dà speranza nella resurrezione

lazzaro vieni fuoriIn occasione della V Domenica di Quaresima, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Ezechiele (Ez 37,12-14), della lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,8-11) e del Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,1-45)

 

Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima è un quadro delizioso, che ci rimanda anche ad un clima di famiglia.

Giovanni dice che «Gesù amava Marta e sua sorella (Maria) e Lazzaro».

È un’espressione unica nel Vangelo, ed è molto forte. A Betania Gesù era ‘di casa’. Si sentiva a casa sua, lui che era pellegrino e viandante. È bello riconoscere anche in Gesù questi legami così profondamente umani.

Davanti a Gesù tutti erano uguali e lui era aperto e disponibile per tutti, ma non tutti erano uguali per lui. Ciascuno aveva la sua storia. Ciascuno di noi è assolutamente unico. Come tale è amato da Dio.

E Gesù, nella sua storia, rivela questo amore che non è ‘neutrale’, ma passa attraverso legami diversi, attraverso storie differenti, perché proprio dentro questi legami e queste storie si rivela un amore che è per tutti.

Allora, quello che accade a Marta, Maria e Lazzaro che avevano un rapporto così stretto e particolare con Gesù, in realtà ci riguarda in prima persona.

Mettiamoci dunque in ascolto di questa storia, così particolare e istruttiva per tutti noi.

Le sorelle di Lazzaro, molto preoccupate per il loro fratello, «mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Queste parole contengono una preghiera implicita che richiama un po’ le parole di Maria a Cana di Galilea.

Quello, nel Vangelo di Giovanni, era stato il primo ‘segno’ compiuto da Gesù. Questo è l’ultimo, è il ‘segno’ che anticipa il ‘segno’ per eccellenza, che sarà la morte e la resurrezione di Gesù stesso!

A Cana, la madre aveva detto ai servitori: «qualsiasi cosa vi dica, fatela», dopo che Gesù le aveva detto: «donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».

Facendosi udire da Gesù, in tutta risposta alle parole del Figlio, la donna, la madre, aveva detto con forza ai servitori del banchetto di nozze che avrebbero dovuto fare quello che Gesù avrebbe detto loro.

La madre non forza il Figlio. Però la sua è una evidente, anche se implicita, preghiera o richiesta.

Così anche qui ‘le sorelle’ di Lazzaro non chiedono nulla di preciso, non pretendono, non avanzano privilegi, non dicono: ”assolutamente ci devi fare quello che ti chiediamo, perché noi siamo come la tua famiglia”!”. No! Questi tre fratelli, queste due sorelle, in particolare, ci danno una bellissima lezione di stile. Non approfittano del legame con Gesù.

Eppure chiedono, con una bella umiltà e con una fiducia commovente, perché assoluta: «colui che tu ami» – notate, nemmeno “colui che ti ama”, ma proprio «colui che tu ami» «è malato». Gesù era coinvolto in quel legame, in quel vincolo di amicizie profondo e non esclusivo.

Le parole di Gesù in risposta alle parole delle sorelle rivelano in anticipo il senso affascinante, perché universale, che è in gioco in questo episodio particolarissimo della vita di Gesù: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».

Tutto quello che avverrà dopo trasuda e traspira la fiducia assoluta di Gesù nei confronti del Padre suo, fino alle parole finali, davanti al sepolcro di Lazzaro, ancora dentro, puzzolente e stretto nei legami della morte: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno – e ora per tutti noi che gli stiamo attorno in questa Eucarestia! –, perché credano che tu mi hai mandato».

Sono parole di abbandono assoluto, incondizionato, pronunciate da Gesù prima di quel grido potente che frusta il silenzio davanti al sepolcro. Giovanni sottolinea infatti: «Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».

Questo grido squarcia il silenzio della morte. È un grido che squarcia il silenzio della morte umana, che è il destino che tutti ci attende.

Gesù non si sarebbe mai esposto al rischio di quel grido – perché Lazzaro era proprio morto già «da quattro giorni» e già mandava «cattivo odore», l’odore terribile della morte! – se non avesse avuto l’assoluta certezza dell’efficacia della sua Parola, se non avesse appoggiato questa Parola sulla sua assoluta fiducia e intimità con il Padre!

Questo grido di Gesù è il grido che risuona in tutte le morti dell’umanità. È un grido di resurrezione e di speranza. È un grido che squarcia le tenebre. È una luce che spezza il silenzio della disperazione umana dinanzi alla morte.

Questa Parola anticipa il grido che è la risurrezione stessa di Gesù.

Questo segno, dinanzi al sepolcro di Lazzaro, rivela quello che accadrà, in tutt’altra pienezza, nella morte e nel risveglio per l’eternità di Gesù crocifisso. Quel ‘risveglio’ di Gesù, risveglio dal sonno della morte, è l’incredibile dono dell’amore di Dio che apre a tutti noi una speranza meravigliosa, che diventa luce già in questa nostra vita.

«Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo».

Nella morte e nella resurrezione di Lazzaro c’è l’annuncio di una rinascita, un ritorno ad una vita risvegliata all’amore, dalla grazia, dalla tenerezza di Dio che non solo asciuga ogni nostra lacrima, ma che, addirittura, qui, in questa stupenda scena, piange lui stesso. Per due volte Giovanni dice che Gesù «si commosse profondamente». E poi, dice ancora il Vangelo di Giovanni, «Gesù scoppiò in pianto», quando gli dicono di andare a vedere il sepolcro.

È un Dio che cammina nelle nostre strade, che condivide le nostre passioni. È un Dio che ama con tenerezza e dolcezza sconfinate.

Così si compie, con stupefacente abbondanza, quello che già il profeta, nella prima lettura, aveva annunciato a un popolo distrutto e esiliato: «Ecco, io apro i vostri sepolcri. Allora: «riconoscerete che io sono il Signore», quando io «farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete».

È la potenza dell’amore e della grazia.

È una speranza per tutti noi, come dice Paolo ai Romani: «e se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi», questo stesso Dio «che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali».

Tutto questo avviene ad opera dello Spirito «che abita in voi», dice Paolo.

Allora davvero comprendiamo come la malattia di Lazzaro, e il sonno della sua morte, sarà per «la gloria di Dio».

Quando Gesù poi, dopo aver atteso due giorni – ma non è una questione di tempo: nulla è impossibile a Dio! – si incammina verso Lazzaro, gli viene incontro la sorella di questi, Marta.

Le due sorelle, all’insaputa l’una dell’altra, a Gesù rivolgono le stesse parole: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».

È bellissima questa fiducia in Lui! Una fiducia senza pretese.

La fede è invocazione, non assicurazione.

È grido, non pretesa! Tant’è che Marta aggiunge: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».

Segue poi un bellissimo dialogo, tra Gesù e Marta, che si conclude con una bellissima professione di fede nella Pasqua di Gesù: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Queste parole splendide rispondono alla Parola di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà».

È Marta che va a chiamare Maria, che era rimasta chiusa in casa. Due sorelle diverse, ma legate dalla stessa amicizia per Gesù.

Marta dice a Maria che Gesù la chiama.

Solo allora Maria va incontro a Gesù, «in fretta», trascinandosi dietro molti dei Giudei, «che erano in casa con lei a consolarla».

Allora, andiamo anche noi, con Marta e Maria, da Gesù, un Dio che si commuove alle lacrime per noi, un Dio che ci risveglia dal sonno della morte, dal dolore, dal pianto, con un amore che è per sempre!