Covid. Un’interessante novità: le varianti si assomigliano sempre di più! Un primo segnale che il virus inizi a indebolirsi?

Secondo Fausto Baldanti ( San Matteo di Pavia ) Il sequenziamento delle tante varianti del virus Sar Cov 2 mostra mutazioni in molti casi minime, il ché porta a pensare “che il virus stia finalmente incontrando una fase che potremmo definire di declino”

Inglese, sudafricana, brasiliana, indiana… Fino a oggi ogni aggettivo “nazionale” associato alla parola “variante” riguardante il Covid ha aggiunto un pezzettino di paura in uno scenario già precario e terribile come quello della pandemia. Oggi, però, proprio tutte queste varianti potrebbero offrire uno spiraglio di speranza.

Varianti sempre più simili, possibile indichino un virus in declino

A sostenerlo è Fausto Baldanti, virologo del laboratorio di Virologia Molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia, che in una intervista a la Repubblica ha sottolineato come il sequenziamento delle diverse varianti del virus Sar Cov 2 mostra mutazioni in molti casi minime, il ché porta a pensare “che il virus stia finalmente incontrando una fase che potremmo definire di declino”.

La mutazione identificata come 484, per esempio, presente tanto nella variante “sudafricana” quanto in quella “brasiliana” torna più volte, a indicare che “più di tanto un virus non può trasformarsi nel punto in cui la proteina Spike aggancia le cellule».

Le mutazioni non sono in finite: la speranza di un virus in declino

Ma se le mutazioni cominciano a ritornare nelle stesse posizioni, la conseguenze che se ne può trarre è che il virus sia arrivato a un punto in cui potrebbe non evolvere più, dato che le posizioni sono in numero limitato e “non possono mutare all’infinito”. La speranza, quindi, è che la capacità stessa di sopravvivenza del virus inizi a indebolirsi, trasformando il Covid da come lo abbiamo tristemente conosciuto a un “virus umano a bassa intensità”.