Moldova. Quel vuoto lasciato dalla ferita dell’orfanotrofio non si è cicatrizzato mai del tutto

La voce dei bambini degli orfanotrofi moldavi nel racconto di Ivan, adottato da una coppia di italiani: «Se non fossi stato adottato, sarei finito ‘sotto i cassonetti’»

Gli Anni ’90 sono stati, per la Repubblica Moldova, quelli dei primi passi verso l’indipendenza, ma anche di tanta povertà, tanta violenza e troppa poca speranza. In questo scenario, i bambini degli orfanotrofi della Repubblica Moldova si trovavano al limite della sopravvivenza. Quali fossero le condizioni in cui vivevano e che cosa volesse dire essere adottato, oggi possiamo ricostruirlo parlando con chi quei momenti li ha vissuti sulla propria pelle. Come Ivan, ragazzo nato in Moldova che ha conosciuto sia il trauma dell’abbandono e degli abusi fisici sia la gioia di ritrovare un posto da chiamare finalmente casa, con una nuova famiglia, in Italia.
Ivan, che oggi ha 31 anni, ha ancora viva nella memoria l’immagine distinta del giorno del suo ingresso in orfanotrofio: non riusciva a vedere il viso delle persone che lo accompagnavano, ma sperava che fossero i suoi genitori, con cui andava in un posto nuovo e miracoloso. E invece non era così…
Le immagini dei suoi primi anni di vita sono frammentarie: si ricorda, però, due persone in divisa. La madre fu incarcerata a causa di alcuni furti minori, mentre lui fu portato in orfanotrofio dove visse quelli che definisce gli anni “più traumatizzanti” della sua vita.

I giorni dell’abbandono

Lì, all’orfanotrofio, Ivan scoprì il bagno austero e sporco, i giocatoli che resteranno, per sempre, dietro alla vetrina dello scafale, dove i bambini non avevano accesso. Scoprì i letti con i materassi bucati, l’interdizione di entrare nella cucina, il divieto di fare qualsiasi attività se questa non era prima approvata dalle educatrici. “Non c’era giorno in cui non pativamo fame o sete. Mangiavamo una volta al giorno, da bere ricevevamo ancora meno. Eravamo, però, sistematicamente picchiati e spaventati. Ogni sera, prima di andare a letto, eravamo frustati alle suole dei piedi. Alcuni di noi facevano pipì insieme al sangue. Altre volte, le signore che avrebbero dovuto prendersi cura di noi si travestivano da streghe e bussavano nelle pareti delle nostre camere, per spaventarci. Si divertivano così”. Per paura, alcuni bambini avevano sviluppato la sensazione di paralisi durante la notte. “Non c’era un minimo di umanità in tutto l’orfanotrofio, un minimo di controllo. Per la paura di non fare rumore, non ti potevi muovere, non potevi gridare, non potevi fare nulla; era un urlo nel vuoto, senza voce”.
Gli abusi sono continuati per anni ma “Oltre a tutto questo – prosegue Ivan – ci mancava la possibilità di studiare, di svilupparci. Non si faceva nessun tipo di educazione lì.”
I bambini si aiutavano reciprocamente e si raccontavano delle fiabe, per trovare un po’ di fiducia nel domani, ma quello che mancava di più era il sostegno e l’amore dei genitori, che venivano molto raramente a visitarli.

Una vita nuova

Tra questi bambini, Ivan è stato uno dei fortunati che ha trovato una nuova famiglia. Lui, come gli altri, aveva visto tanti genitori di passaggio in orfanotrofio, ma si ricorda che dal primo momento, quando vide quella coppia di italiani, capì che “erano lì per lui”.
I due, venuti dall’Italia, erano passati a prenderlo per passare insieme una giornata intera: gli fecero fare una doccia e, per la prima volta, Ivan dormì in una cameretta pulita e calda, indossando vestiti nuovi. “Era un sentimento di pace che non avevo mai vissuto: ero con loro. Ero a casa”.
Il giorno successivo fu, inevitabilmente, molto difficile, con il ritorno in orfanotrofio per “tornare a morire in quel posto”. Ma così non fu, perché, nel settembre del 1996, Ivan venne definitivamente adottato. Aveva 7 anni e, quasi d’improvviso, da una cameretta buia si ritrovò trovato davanti al finestrino di un aereo che lo portava verso una nuova vita. Si ricorda che suo padre aveva con sé un cappello pieno di dolci e che una delle hostess, vedendolo molto agitato, lo prese con sé davanti. Ivan non aveva mai immaginato che il mondo potesse essere così grande e luminoso!
Appena atterrati, Ivan e i suoi nuovi genitori vennero accolti dallo zio. Poi, una volta a casa, a Napoli, Ivan conobbe anche i vicini di casa, che gli avevano preparato una festa di benvenuto. Tutti gli facevano gli auguri. Ivan teneva in mano un piccolo aereo con delle lucine che faceva vedere a tutti: anche se nessuno capiva quello che stava dicendo, tutti continuavano ad applaudirlo e a sorridere.

In quella casa, in Italia, Ivan ha scoperto per la prima volta il senso di appartenenza: un letto tutto per lui, i giochi che non ha mai avuto e che stavano lì, sempre per lui.
Non è stato facile, perché gli anni successivi hanno significato, per Ivan, anche fare un grande lavoro con se stesso e con i traumi subiti: “Ho cercato di trasformare l’esperienza vissuta in orfanotrofio per diventare più empatico e per capire la gente intorno a me. Altro di buono, da lì, non l’ho preso: non c’era niente da prendere”.
Dentro di lui, però, la sensazione di abbandono, di essere lasciato, non è mai andata via, anche oggi, e Ivan riconosce come la gran parte delle decisioni prese nella vita sia stata influenzata da questa. Senza l’aiuto degli specialisti, è convinto, quella depressione lo avrebbe rovinato.

Il cammino indietro: “Mi ricordo tutto”

Nel 2021, dopo avene parlato con il terapeuta, Ivan si è proposto di andare a cercare i genitori biologici. Ha sempre voluto conoscere le proprie origini. Si ricorda la mamma, il papà, i fratelli: “Mi ricordo tutto”. Tornato alle origini, ha saputo che il padre era deceduto nel 2001 mentre il momento dell’incontro con la madre non è stato così speciale come se lo immaginava. “Però mi è servito per riconfermare a me stesso alcune cose: per esempio che il padre biologico era violento e che non era tanto quell’ultimo momento di incontro a essere importante, quanto tutta la strada percorsa per arrivarvi”.
Comunque, quel vuoto lasciato dalla ferita del’orfanotrofio non si è cicatrizzato mai del tutto: “So che tanti altri bambini non hanno la stessa mia fortuna e molto probabilmente la loro strada nella vita non sarà la migliore, perché sono talmente traumatizzati e questo vuoto è talmente grande che non hanno modo di colmarlo”.
Ivan crede che, se non fosse stato adottato, sarebbe finito “sotto i cassonetti”.
Ivan continua a lavorare con i propri traumi, avendo accanto due genitori che lo sostengono in tutto. Spera di poter tornare ancora in Moldova e, nel frattempo, ha deciso di raccontare la sua storia perché sia fatta giustizia per i bambini abbandonati negli orfanotrofi.

Adottare oggi in Moldova

Oggi la situazione dei bambini negli orfanotrofi della Moldova, e non solo, per fortuna è migliorata, ma la ferita dell’abbandono è sempre uguale, così come la speranza di trovare una nuova famiglia in cui tornare a sentirsi figli. Ai.Bi. lavora da anni con la Moldova, dove diverse famigli italiane hanno portato avanti un’adozione internazionale che ha cambiato al vita. Loro e dei loro figli.