L’adozione aperta di Cagliari: il caso della bambina che porta il cognome della mamma biologica e della mamma adottiva

mamma adottivaE’ iniziato come un affido, che il  è diventato un anno, poi altri due anni e ancora due fino a diventare adozione. E’ la storia di Gioia, quarantenne di Cagliari, e di Annalisa (nomi di fantasia): quando aveva fatto la domanda di adozione era nubile, dunque la bambina ha il suo cognome e a seguire quello della madre biologica.

“Avevo 32 anni quando ho incontrato per la prima volta mia figlia – racconta Gioia -. Ero una giovane professionista un po’ annoiata, ma soprattutto molto sola. Ero stata molto fortunata fino a quel momento e avevo voglia di restituire un po’ delle opportunità che avevo avuto dalla vita e dalla mia famiglia, senza averne mai avuto merito. Andai nel centro affidi della mia città: è un ente che si occupa di formare le famiglie che intendono accogliere un bambino in casa”.

La chiamata arriva pochi mesi dopo. “Una bambina di quasi tre anni era appena stata accompagnata ai servizi sociali – ricorda -, la madre non era più in grado di occuparsene. La piccola non parlava, non camminava, dimostrava dei deficit e, soprattutto, non si sapeva quando la mamma sarebbe ritornata a prenderla. Un buio totale. Le altre famiglie tradizionali non se la sentirono di accoglierla. Rimanevo io”.

“Annalisa appena mi ha vista, mi è venuta incontro gattonando è mi ha artigliata in un abbraccio che mi ha lasciata senza fiato – continua -. Non credevo che un essere così piccolo potesse avere tanta forza. Me la portai a casa con il terrore di fare tutto male, dal biberon al cambio del pannolino. E invece è stato proprio lì che abbiamo cominciato a camminare insieme. Quando l’assistente sociale mi ha chiamato alla fine della settimana per avvisarmi che l’affido, se ero d’accordo, si sarebbe prolungato per un altro mese, sentii la mia voce dire “non c’è problema”.

In questi anni la madre biologica è sempre stata presente. E tutt’ora può vedere la figlia una volta al mese. Spiega Gioia: “Annalisa vuole bene alla mamma e tutti noi abbiamo lavorato perché mantenessero un buon rapporto: sa che anche lei gliene vuole, le ha fatto il prezioso dono della vita e il dono di metterla nelle mani di chi si potesse prendere cura di lei”

Gioia, anche se oggi è felicemente sposata da quasi un anno, non lo era quando ha avviato le pratiche di adozione. “Mio marito l’ho incontrato due anni fa – racconta -, ero con la bambina: per lui eravamo già madre e figlia, non scindibili”.

Pure lui, da subito, ha partecipato agli incontri mensili con l’équipe del Centro affidi. “Annalisa lo adora. Lo chiama per nome, a parte quando deve vantarsi con le compagne di classe e allora diventa “mio padre”.

Luisa Sanna, la psicoterapeuta infantile che fin dagli inizi ha seguito Gioia e Annalisa, parla di “adozione mite”: “In questa storia sono tutti vincenti: abbiamo costruito rapporti nuovi senza recidere quelli con la madre biologica. Il nostro focus è sempre stato la piccola”. Anche il giudice ha fatto la stessa valutazione: preservare il rapporto costruito in otto anni.

Fonte: Corriere della Sera.it