Adozione in crisi? Calano le famiglie ma non il numero dei bambini alla ricerca di una famiglia adottiva

È forse il sintomo di una società che ha perso il senso del dono? C’è in atto una crisi della genitorialità e dell’accoglienza? Continua il dibattito sulle cause della fuga delle famiglie dalla adozione

Negli ultimi anni, il calo delle adozioni nazionali e internazionali ha sollevato interrogativi profondi e complessi. Anche su Aibinews abbiamo cercato di analizzare i tanti fattori che entrano in gioco in questo processo, sia a livello geopolitico, sia sociale, sia culturale. Più recentemente, a partire dall’editoriale di Ferruccio de Bortoli, Pochi figli e poche adozioni, pubblicato sul “Corriere della Sera” (qua il nostro commento), si è aperto un nuovo fronte del dibattito, che sottolinea come, in realtà, il numero dei bambini in cerca di una famiglia tende ad aumentare, mentre cresce la difficoltà di trovare genitori pronti ad accoglierli.
Non si tratta solo di ostacoli burocratici o di leggi da riformare, ma di un mutamento culturale più ampio che tocca il cuore stesso della genitorialità e dell’amore. Che cosa significa oggi accogliere un figlio che non ci appartiene? Perché sembra sempre più difficile amare gratuitamente, senza aspettative o garanzie di ritorno?
L’articolo de “Il Sussidiario”, Calano le adozioni perché cala la speranza, esplora le radici di una crisi che va oltre i numeri, scavando nei meccanismi sociali, psicologici e culturali che stanno trasformando il nostro modo di intendere la famiglia, il legame genitoriale e la speranza nel futuro.

Il problema è anzitutto culturale

“In Italia calano drasticamente le adozioni nazionali e internazionali mentre non cala il numero dei bambini che è alla ricerca di una famiglia adottiva.” Apre così l’editoriale di Federico Pichetto.
“È evidente che esiste un problema legislativo, ma non si può certamente tacere che la questione di fondo è anzitutto culturale. Infatti, due dettagli saltano agli occhi: il ricorso sempre maggiore alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, omologa ed eterologa, e la promozione della pratica dell’utero in affitto.”
Nell’editoriale si parla di un cambiamento di prospettiva, come se “fosse avvenuta una rivoluzione copernicana degli affetti: prima l’amore era a servizio di un altro, di un figlio che poteva essere biologicamente mio oppure no, adesso l’amore completa me, dà un senso a me. Io, figlio mio, non ti metto al mondo perché concorro al bene di un popolo o di una storia, ma io ti metto al mondo per fare contento me, per realizzare me.” E, ancora, prendendo in considerazione la genitorialità: “Noi generiamo qualcuno che non sappiamo neanche se saremo in grado di amare. Oggi, invece, noi vogliamo il cane: un animale che siamo certi di sapere amare e che siamo certi ci darà amore indietro. È venuto meno il senso del mistero e il senso del gratuito.”

Com’è difficile amar gratis!

Altro discorso è quello dell’adozione, che richiede un’apertura totale e gratuita, che guarda prima di tutto all’altro e non a se stessi. “Come è difficile amare gratis! Come è difficile amare a gennaio, quando tutto è ricoperto dalla nebbia e dal ghiaccio, e nulla sembra poter davvero essere a tua disposizione. È come se uno intuisse plasticamente che nella vita occorre una fatica, un’ultima fatica, per essere davvero adulti e venire al mondo. Nessuno sa amare la terra di gennaio, perché il contadino – a gennaio – sa che l’unico modo di amare è quello di attendere, di avere fiducia, di non pretendere frutta o verdura laddove adesso tutto sembra morto o dormiente.
Eppure, è a gennaio che il contadino ritrova il senso della propria casa, il senso di sé, dei propri bisogni. Paradossalmente, a gennaio si scopre che è nell’aridità di molte sperdute giornate in cui non possiamo gestire gli altri che ritroviamo sinceramente quello strano senso di sé che speravamo fossero i figli a darci. Sono così diversi, così lontani dai nostri schemi, a volte forieri di dolori indicibili. Eppure, così veri, così spietati, così lucidi nel ridonare ai genitori l’esatta misura dell’amore. A ben vedere si potrebbe dire che è a gennaio che uno impara a sperare la primavera.”

La crisi della speranza

Federico Pichetto conclude ribadendo che il calo delle adozioni è più di ogni altra cosa una crisi della speranza: “In un modo disperato, io voglio avere cose soltanto mie. In un mondo disperato, io non so perché dovrei investire su di te che non mi appartieni e che certo mi deluderai.”

[Fonte: Il Sussidiario]

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