Adozione. Fillus de anima: la tradizione sarda dei figli d’anima e il suo significato per l’adozione

La pratica antica e moderna di affidare i bambini a una famiglia diversa da quella biologica ci insegna il valore dei legami al di là del sangue e dell’ascolto dei minori

Parlando di adozione si utilizza spesso il termine rinascita: i bambini e le bambine, generati biologicamente da altre donne e altri uomini, nascono in una nuova famiglia; le madri e i padri, che diventano tali con l’adozione, si ritrovano fecondi di una genitorialità che non immaginavano o non speravano più di avere.
Si rinasce perché si nasce di nuovo, insieme, ricominciando da capo.

Il romanzo di Michela Murgia

Un tema, quello dei legàmi al di là della linea di sangue, che è riemerso sui media nelle ultime settimane di vita e dopo la morte della scrittrice sarda Michela Murgia. Già nei suoi romanzi si parlava dei figli d’anima, fillus de anima, tradizione antica in Sardegna che ancora oggi, saltuariamente, è praticata a favore dei minori soli o a rischio di abbandono e di trascuratezza in una comunità.
I figli d’anima sono “i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra.” È l’incipit del romanzo Accabadora quando inizia la storia di “Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai”.
E a questo punto, per chi si occupa di adozione o la vive in prima persona – che sia figlio, figlia o genitore – suona un campanello.
Per prima cosa i legàmi di sangue: esistono, sono legittimi e importanti, ma non sono tutto, non sono fondamentali o imprescindibili di fronte all’amore tra genitori e figli, di fronte alla scelta di volersi come madre padre figlio o figlia.
Pensate a quando una coppia comunica in famiglia la volontà di adottare: spesso i primi ad avere un sussulto sono i futuri nonni perché inconsciamente già sanno che la linea familiare di sangue sarà interrotta. È qualcosa di ancestrale, il sangue, quasi l’appartenenza al clan che riemerge dopo millenni e generazioni.
Poi, tutto passa, svanisce: l’amore per quei bambini, che prima dell’incontro si conoscono nei lunghi tempi vuoti dell’attesa, ristabilisce un’altra linea, un’altra appartenenza. Altre viscere che anche madri e padri imparano a sentire, nel processo formativo di accompagnamento all’adozione.

I nuovi legami

E quindi i nuovi legàmi, quelli non regolati dal vincolo di sangue, hanno pari dignità rispetto a quelli biologici: come ha ricordato e ribadito in più occasioni Murgia, la tradizione antica dei figli d‘anima appare moderna proprio nella nostra epoca in cui, per proteggere minori in difficoltà familiare, si ricorre spesso alla soluzione della comunità o degli istituti – con alti costi sociali e impiego di risorse professionali – mentre le relazioni, le reti familiari, la comunità operano velocemente e con maggiore efficacia nell’interesse dei minori. E ristabiliscono linee di appartenenza familiare che sembravano lacerate o interrotte.

Stiamo quindi parlando di un affido o di un’adozione, con i fill’e anima?

Essere figlio d’ anima non necessita di una regolamentazione giuridica perché si basa e si regge sul consenso di tutti: genitori, figli, comunità in nome dell’amore e della cura reciproca. Anche ai bambini viene chiesto di volerlo, se sono ragazzi spesso lo scelgono. Ci si affida reciprocamente: è qualcosa che assomiglia all’ascolto del minore nei casi di adozione, ma applicato per volontà delle parti, non a discrezione del giudice o in casi particolari.
Murgia è stata una di loro, una di quelle adolescenti affidata dai genitori biologici ad altri adulti della comunità con i quali esistevano già dei rapporti. Poteva essere per un periodo limitato nel tempo a causa di una difficoltà grave familiare o di una malattia.
Ma i legami  tra le persone – famiglia di origine e famiglia accogliente – restavano e restano per sempre, con la comunità intorno a sostenere questo intreccio di volontà e di scelte per il benessere dei minori in difficoltà.
E laddove la disciplina giuridica non regolamenta, è il concetto di co-genitorialità e di responsabilità reciproca su tutti i figli, tipico di molte società-villaggio, a vincere.

Superare i legami di sangue

I fillus de anima portano a una riflessione utile nell’adozione e nelle molte forme di accoglienza e protezione dei minori: mettiamoci dalla parte dei bambini, ascoltiamo il loro desiderio di essere accolti e di crescere in famiglia, anche in famiglie molto larghe, capaci di accompagnarli nella vita.
Rispetto all’adozione, tutto questo conferma come l’accoglienza più piena, reciproca, tra genitori e figli è capace di creare legami nuovi, eterni, superando non solo il legame di sangue ma anche quell’abbandono che, per ragioni diverse, entrambe le parti hanno conosciuto e vissuto.