Adozioni a distanza, ma chi paga la pubblicità?

Sergio scrive:
Buongiorno, in questo periodo siamo tempestati da campagne pubblicitarie che promuovono l’adozione a distanza. Certo la finalità è buona ma mi domando: chi paga per questo uso massiccio dei mass media? Intendo dire gli spazi sono gratuiti? Oppure gli enti che si avvalgono di questa modalità comunicativa distraggono risorse che potrebbero essere dedicate ai bambini abbandonati per costosissime campagne?

Caro Sergio,

il tema che evidenzi ci sta particolarmente a cuore e quindi ti ringrazio per aver posto la domanda. La nostra posizione sull’argomento è molto netta: sopratutto quando si parla di pubblicità, il non profit non deve pagare. Riteniamo infatti non etico che cifre molto significative, centinaia di migliaia se non milioni di Euro siano “distratti” dalla nostra mission per realizzare campagne pubblicitarie finalizzate alla raccolta fondi.

Ragioniamo sui numeri, se un sostegno a distanza personalizzato – quello che crea un legame diretto tra sostenitore e bambino e che viene proposto esclusivamente da Ai.Bi. – costa 600 Euro all’anno e un’adozione internazionale in media 20.000 è facile capire come con 100.000 Euro – un investimento pubblicitario piuttosto modesto visti i costi elevatissimi degli spazi – si potrebbero sostenere 167 bambini per un anno oppure finanziare l’adozione di 5.

Per questo motivo Ai.Bi. realizza campagne pubblicitarie esclusivamente se supportata da un’agenzia di pubblicità che offra il suo servizio “pro bono” e a fronte di spazi televisivi, radiofonici, sulla carta stampata o sul web offerti a titolo gratuito.

Molti enti non si comportano in questo modo e le cose vanno sempre peggio da quando numerose organizzazioni internazionali hanno scelto l’Italia – i cui cittadini sono notoriamente tra i più generosi, sebbene a nostro parere non abbastanza, nel donare a favore di progetti di solidarietà – come territorio di conquista e di raccolta: in questa logica la pubblicità a pagamento è considerata un investimento, nessun problema etico nello spendere grosse cifre scommettendo su un ritorno, in termini di raccolta, superiore all’investimento.

Ai.Bi. non sottoscrive questo approccio, non lo riteniamo eticamente accettabile e abbiamo una regola ferrea: l’80% dei fondi raccolti deve essere dedicato ai progetti a favore dell’infanzia abbandonata. Il rimanente 20% paga la struttura, ma certamente nulla avanza per la pubblicità. Molte organizzazioni hanno regole molto meno rigide ed, evidentemente, reputano legittimo alzare di molto i propri costi acquistando spazi pubblicitari.

Riteniamo che in futuro questa materia debba essere regolata per legge, secondo un semplice principio: il non profit non paga. Non si tratta di una proposta di natura corporativa volta a creare un vantaggio del non profit. Si tratta di un principio di buon senso che riconosca l’utilità sociale del non profit e quindi lo supporti, destinando una quota dei mezzi pubblicitari a quest’ultimo secondo criteri di serietà, di merito e di capacità di spender bene le risorse a disposizione.

Un cordiale saluto

Massimo Rosa

Responsabile Comunicazione, Marketing e Fund Raising di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini