Adozioni in Rdc. Famiglie in attesa: “In 22 mesi da Cai e governo solo inviti al silenzio e nessuna risposta”

conferenza-stampa-camera (3)La loro vita è appesa a un’attesa che sembra non finire mai. Da quasi 2 anni, 130 coppie italiane attendono di poter finalmente abbracciare i loro figli, regolarmente adottati nella Repubblica Democratica del Congo: 150 bambini a cui Kinshasa non ha ancora concesso il permesso di uscita dal Paese. Questo a causa della moratoria delle adozioni internazionali decisa a settembre 2013 dal governo congolese in seguito ad alcune presunte irregolarità negli iter adottivi commesse da altri Stati. Tra questi non c’è l’Italia. Ma ciò non è sufficiente a fare in modo che il nostro Paese, da sempre considerato virtuoso nel settore delle adozioni internazionali, non venga trattato alla stessa stregua di quelli che avrebbero commesso le irregolarità.

Perché tutto questo? Se lo chiedono 22 delle 130 famiglie in attesa che la situazione si sblocchi. Quelle 22 coppie che, mercoledì 5 agosto, hanno tenuto una conferenza stampa alla presso la Camera dei Deputati, “senza strumentalizzazioni politiche, per il bene delle famiglie e dei bambini”. A 22 mesi dal blocco, queste coppie fanno sentire la propria voce. In questo lungo periodo abbiamo scritto ripetutamente sia al premier Renzi che alla Commissione Adozioni Internazionali – ha spiegato una delle mamme intervenute alla conferenza stampa -, ma per tutta risposta abbiamo ricevuto 6 mail in cui ci chiedevano di avere pazienza ed evitare iniziative singole. Abbiamo incontrato una sola volta la Cai, a novembre 2014, che ci ha rivolto analoghe richieste. Nessuna informazione sullo stato di un’eventuale trattativa tra il nostro governo e quello di Kinshasa, nessuna spiegazione sul motivo per cui i nostri figli sono ancora in orfanotrofio”. Fino al 28 luglio scorso, quando dalla Cai è arrivata una nuova mail che “chiedeva ancora una volta di avere pazienza perché tutti stanno lavorando senza sosta per arrivare a un risultato positivo”.

Insomma, mai una risposta concreta. Solo inviti ad avere fiducia e a non prendere iniziative mediatiche “che potrebbero far saltare le diplomazie in atto”. Una richiesta che stride con le molteplici iniziative di sensibilizzazione sul tema che si svolgono negli altri Paesi interessati dal blocco delle adozioni in Congo. “Perché gli altri genitori stranieri coinvolti vengono informati con puntualità e periodicamente delle trattative in corso, mentre noi siamo costretti a un avvilente silenzio?”, chiede l’avvocato Antonella Prete, mamma dal 2013 di 2 bambini congolesi visti fino a oggi solo in fotografia.

In sostanza, le 22 coppie che hanno voluto la conferenza stampa chiedono aiuto e vogliono sapere che ne è dei loro bambini. “Siamo solo uomini e donne con figli che vivono lontano senza l’affetto di una mamma e di un papà – hanno detto -. Aiutateci a sapere come stanno e quando arriveranno a casa i nostri figli”.

In tutto questo, a fronte di un governo e di una Cai che non hanno fornito alcuna risposta a centinaia di mail e a tante richieste di incontri, anche gli enti autorizzati a cui le coppie si sono rivolti non possono essere granché di aiuto. “Non ci dicono nulla perché non possono dirci nulla: sono stati esautorati del potere di farlo, probabilmente non sanno più di noi”, denunciano i genitori nel corso della conferenza stampa.

“Perché, dopo 22 mesi, siamo ancora lontani dai nostri figli se le nostre procedure sono corrette? Perché il nostro Paese è ancora coinvolto nel blocco pur non avendo commesso irregolarità? Perché non possiamo avere puntuali informazioni sulle condizioni di salute dei nostri figli?” Tutte domande legittime, che arrivano dal cuore di genitori in ansia. Domande che, nella maniera più assoluta, meritano una risposta.

 

Fonti: il Fatto Quotidiano, Il Tempo, La Presse, Avvenire