Affido. Cristina Riccardi (Ai.Bi.): “Dopo Bibbiano non bisogna demotivare le famiglie”

L’istituto dell’affidamento famigliare? Presenta criticità, ma non è un “business”

Dopo lo scandalo di Bibbiano l’istituto dell’affido famigliare è balzato al centro della scena pubblica. E continua a rimanerci. Tuttavia, se la pubblicità dei fatti dell’Emilia Romagna non è certamente stata positiva, quantomeno l’inchiesta ha permesso di parlare della situazione dei minori fuori famiglia in Italia e, in particolare, di quelli accolti da tante famiglie che con sincero amore hanno dedicato la propria vita a crescere e accogliere un bambino o un ragazzo allontanato dalla famiglia d’origine, confrontandosi con tutti i problemi che questa situazione comporta, soprattutto in età “difficili” come l’adolescenza. Un recente articolo su Vita di Sara De Carli riporta le cifre di questo fenomeno, aggiornate al 2016: sono 26.615 i minori fuori famiglia in Italia, pari al 2,7 per mille. Numeri inferiori rispetto a Francia e Germania (nove per mille) o Inghilterra (sei per mille).

Tra questi sono 12.603 quelli ospitati in strutture o comunità e 14.012 quelli in affido famigliare, istituto che vede Lombardia, Piemonte e Sicilia in testa nella classifica dell’accoglienza. I principali motivi per l’inserimento in famiglia sono: l’incapacità educativa dei genitori; la trascuratezza materiale o affettiva del minore; problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori; violenza domestica; problemi relazionali della famiglia. Solo un terzo sono i minori che, dopo l’esperienza fuori famiglia, riescono a rientrare nel nucleo d’origine, mentre la seconda casistica più comune è il trasferimento ad altri servizi residenziali.

Un settore, quello dell’affido, che presenta dunque numeri importanti e anche importanti criticità, come ha anche recentemente evidenziato una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per la pratica dell’affido “sine die (il 62% dei minori è in affido da oltre 24 mesi), mentre le normative vigenti prevedono un periodo di due anni prorogabile al massimo di altri due. Un settore da riformare, dunque. Ma anche un settore che, di certo, non merita di essere definito un “business”, come spiega anche la vicepresidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Cristina Riccardi.Quello che tutti noi vediamo è un sottoutilizzo dell’affido, che è stata una bellissima intuizione del legislatore. Ci sono modalità importanti, come l’affido part time, praticamente inutilizzate. Con questi attacchi stiamo demotivando le famiglie affidatarie anziché valorizzarle”, spiega.

E, del resto, gli affidamenti famigliari, al contrario di quanto si è letto su certa stampa per settimane e settimane, non hanno mai arricchito nessuno. Il rimborso spese per le famiglie, peraltro, non è obbligatorio per legge. Tale contributo è a carico del Comune che dispone l’affidamento ed è il Comune che delibera l’ammontare della cifra, che varia, a seconda del tipo di affidamento, dai 250 ai 700 euro mensili. Si legge sempre su Vita, “moltiplicando rette (100 euro) e rimborsi medi (diciamo 500 euro al mese) per i quasi 27mila minori fuori famiglia, non si arriva a 600 milioni di euro l’anno, lontanissimi dalla sbandierata cifra monstre di cinque miliardi del business dell’accoglienza”.