Affido. Il dramma dei bambini “restituiti”: sono 2.500

Ciò che in definitiva oggi servirebbe è un maggiore coinvolgimento del privato sociale, più risorse, esperienza e soprattutto vicinanza a chi con amore e spirito di solidarietà decide di aprirsi all’accoglienza affidataria

Sono passati solo pochi mesi, da quando, il ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, relazionando in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare, rendeva noto come, nel nostro Paese, in base a dati del 2019, vi siano 27.608 minori collocati fuori famiglia. Un numero impressionante, che non tiene conto dei Misna, i minori stranieri non accompagnati, altrimenti lieviterebbe ulteriormente. Di questi, solo una parte (13.555) ha trovato rifugio tra le braccia di una famiglia affidataria. Gli altri invece, hanno trovato ospitalità all’interno di strutture residenziali.

Quando si parla di affido, c’è però un argomento di cui non si sente mai accennare ed è quello dei minori affidati e poi “restituiti” dalle famiglie affidatarie candidate ad accoglierli per accompagnarli e proteggerli un breve tratto della loro vita. Secondo quanto indicato da Repubblica e riportato da Il Digitale.it, in base ai dati risalenti al 2017, sarebbero ben 2500. Giovani che devono affrontare il terribile trauma di un secondo abbandono. Secondo l’Istituto degli Innocenti – sottolinea Il Digitale.it– il rifiuto da parte di una famiglia affidataria ha un impatto negativo sullo sviluppo del bambino. Si tratta di un’esperienza traumatica che segna il loro futuro. Può accadere che un ragazzo torni in un Istituto e vi rimanga fino al raggiungimento della maggior età. Questa condizione provoca innumerevoli disagi, come dipendenza da droghe e alcool, e non solo per se stessi”.

Il trauma della restituzione

Subire il trauma di una “restituzione” comporta, inevitabilmente, un ulteriore dramma per un bambino già in difficoltà familiare. È importante che chi scelga di aprirsi all’accoglienza lo faccia davvero consapevolmente e vi arrivi informato e soprattutto preparato, ma allo stesso tempo è altrettanto fondamentale che le famiglie che si aprono all’affido siano sostenute e seguite passo, passo, durante il loro percorso e che gli abbinamenti siano ben valutati. Insomma, prima di addossare alle famiglie la responsabilità di tutte le restituzioni, bisognerebbe valutare prima i motivi del loro gesto.

Tutto ciò che avviene prima dell’inserimento dei bambini nelle famiglie affidatarie è responsabilità dei servizi sociali e quando un abbinamento è ben ponderato, le possibilità di successo dell’affido sono molto più alte. Certamente ci sono anche famiglie che si approcciano con leggerezza al loro compito, ma esiste tutto un lavoro propedeutico a monte dell’inserimento del minore che avviene a prescindere dalla famiglia, la quale non può possedere tutti gli strumenti e le informazioni necessarie per decide con sicurezza rispetto ad un’accoglienza.

Ciò che in definitiva oggi servirebbe è un maggiore coinvolgimento del privato sociale, più risorse, esperienza e soprattutto vicinanza a chi con amore e spirito di solidarietà decide di aprirsi all’accoglienza affidataria.