“Affido: mai abbandonarli due volte”

Simona scrive:
Anche un genitore affidatario, una volta accertato che non è possibile recuperare la relazione con i genitori naturali del minore tenuto in affidamento, è in grado di diventare “genitore per sempre”. Nel periodo dell’affidamento i genitori affidatari hanno vissuto gioie, dolori e progressi dei bambini e penso siano le persone più giuste per continuare a star loro vicino con consapevolezza, e a non farli sentire abbandonati due volte. Si lavora tanto per dare a questi bambini serenità e poi li si strappa da tutta la loro quotidianità, da tutti i loro affetti per metterli in un istituto in vista di una futura adozione, che è un’incognita. E il dolore che loro portano dentro… il vuoto che lasciano… è incolmabile!

Cara Simona,

questo è sicuramente uno degli aspetti che più generano perplessità e discussioni tra quanti vivono l’esperienza dell’affido e/o se ne occupano come operatori. Nel settore questo tema viene identificato come “continuità degli affetti”.

La questione è complicata. Bisogna però procedere nelle considerazioni senza perdere di vista due punti fondamentali: il diritto di ogni bambino ad essere figlio (avere quindi una mamma e un papà esclusivi) e il fatto che l’affido familiare è un’accoglienza temporanea.

Operatori sociali dell’affido e famiglie affidatarie devono necessariamente cooperare per raggiungere l’obiettivo di questo istituto giuridico, cioè il rientro nella famiglia d’origine del bimbo affidato, se realizzabile, e nel più breve tempo possibile. In caso contrario procedere velocemente all’adozione.

Questo richiede un grosso lavoro di analisi della situazione di fatto del bambino e della sua famiglia, della possibilità di recupero di questa e un serio lavoro progettuale, sia sul bambino che sulla famiglia di origine, ancor prima che inizi l’affido, cosa che sempre più spesso manca a causa dell’emergenza degli interventi e della scarsità di risorse umane ed economiche dei servizi sociali. Mancando questa importante premessa, gli affidi si trasformano in qualcosa di indefinito e si trascinano nel tempo senza soddisfare il diritto del bambino ad una famiglia unica e vera.

Nella nostra esperienza di formazione e accompagnamento delle famiglie all’affido, d’altro canto, sempre più spesso ci imbattiamo in coppie che pensano di soddisfare attraverso l’affido il loro desiderio di genitorialità, non più raggiungibile biologicamente o con l’adozione, confidando proprio in forme abominevoli di affidi così detti “sine die” (cioè a tempo indeterminato e privi di progetto che ponga chiari obiettivi). Lo vediamo perché molti dichiarano, fin nella fase di formazione, di sperare in un’eventuale adozione, a seguito del fallimento del recupero delle capacità genitoriali delle famiglie d’origine.

È chiaro che anche queste sono devianze inaccettabili, che nulla hanno a che vedere con “l’interesse superiore del minore”.

Purtroppo anche i Tribunali dei Minori ricorrono sempre più spesso al famoso art. 44 della legge 184/83 (adozione in casi speciali), che permette il passaggio diretto dall’affido temporaneo all’adozione all’interno della stessa famiglia affidataria, favorendo così la percezione che l’affido possa essere un modo per evitare l’iter lungo e rischioso dell’idoneità all’adozione.

Fatte tutte queste premesse – che indicano quanto questo tema sia delicato e quanto in realtà queste situazioni di affidi indeterminati siano provocati da un sistema che non funziona a dovere, generando false aspettative nei bambini e nelle famiglie accoglienti – hai ragione nel pensare che un bimbo che per anni è cresciuto con una famiglia, nel caso in cui venga dichiarato adottabile, si trovi a dover subire l’ennesima ingiustizia. Si tratta però di “un’ingiustizia” in vista di un bene superiore, cioè quello di dare a quel bambino la sua famiglia per sempre, non una famiglia sostituta.

Ci sono poi effettivamente delle situazioni “speciali” per cui un affido può diventare adozione, ma a patto che la famiglia affidataria sia in possesso dei requisiti di legge per adottare, che sia effettivamente l’interesse superiore del bambino e a patto che ci sia una reale disponibilità da parte della famiglia e da parte del minore. Queste situazioni “speciali” sono, ad esempio, spesso riferite a una condizione di disabilità del bambino o all’età, ma non solo.

È rischiosissimo comunque favorire questa prassi. L’affido e l’adozione devono rimanere due istituti giuridici ben separati perché hanno finalità opposte; il primo ha come obiettivo il rientro del bambino nella famiglia d’origine che non deve essere ostacolato, più o meno consciamente, dalla famiglia accogliente; una buona famiglia affidataria non genera in se stessa e, di conseguenza, non trasferisce al bambino accolto progetti di vita futuri che non tengano presente la sua famiglia d’origine.

Una buona e giusta relazione tra bambino affidato e genitori affidatari può modificarsi, sulla base di un atto amministrativo, in una vera relazione genitore/figlio? È questa la domanda a cui rispondere per valutare se sia giusto, in ogni singolo caso, che un affido possa diventare adozione, perché ogni bambino ha diritto ad essere figlio, non figlio affidato. Non è detto che un’ottima famiglia affidataria possa diventare un’ottima famiglia adottiva; come non è scontato che un bimbo che riesce a gestire anche molto bene una relazione di affidamento con una famiglia non fatichi a sentirsi profondamente figlio di questa, a causa delle sue precedenti relazioni con la famiglia affidataria stessa e con quella d’origine, per esempio. Sono tanti gli aspetti da valutare …

Hai perfettamente ragione nell’affermare che il collocamento in comunità di un bambino in affido in attesa di adozione è un’ingiustizia e un’inutile sofferenza; alcuni servizi sociali e alcuni giudici del Tribunale dei Minori parlano di “decongestionamento affettivo”. Un bambino ha bisogno di “decongestionarsi” dall’affetto e dall’amore ricevuto? Non crediamo proprio. È questa una motivazione che ha più il sapore amaro della tortura senza senso che del bene del bambino.

È possibile passare da una famiglia all’altra se il bambino, i genitori affidatari e la futura famiglia adottiva, accompagnati da operatori preparati, condividono questa fantastica esperienza in modo il più possibile sereno, conscio e rispettoso dei sentimenti di tutti. Come dovrebbe essere, d’altra parte, anche nel caso di rientro nella famiglia d’origine. Ma questo richiede impegno, collaborazione, risorse, professionalità e tanto amore.

Cristina Riccardi, membro del Consiglio direttivo con delega politica all’affido familiare di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini