“Caro Renzi, non basta l’amore: ascolta i figli adottivi”

Una figlia e madre adottiva scrive al quotidiano “Avvenire” denunciando i luoghi comuni che imperversano nell’attuale dibattito sulle unioni civili e la stepdchild adoption, richiamando l’attenzione su quello che dovrebbe essere il vero obiettivo, spesso disatteso, di ogni legislazione in materia di genitorialità: l’interesse del minore. Stupendosi di come i protagonisti dell’adozione siano poco impegnati nella lotta per la difesa dei diritti dei bambini (Ai.Bi. è controcorrente e conduce da sempre una campagna informativa in questa direzione), l’autrice della lettera auspica una maggiore capacità di mettersi nei panni degli altri e comprenderne i bisogni, piuttosto che seguire l’onda “della lotta per una finta libertà”. La risposta è affidata al direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio.

 
Gentile direttore,

ho 41 anni, sono figlia adottiva di nazionalità italiana, mamma biologica e madre adottiva. In tutto questo dibattito egoistico, egocentrico e disumano, a cui sto assistendo impotente in queste ultime settimane, manca a mio avviso la voce e l’opinione di chi “subisce” (solitamente in senso positivo) un’adozione. Trovo che si stia banalizzando tutto e che il concetto che si vuole far digerire con facilità ai più “ignoranti” che non vivono in prima linea e in prima persona questa realtà sia che “basti l’amore”. Basta l’amore per unirsi civilmente anche se si è dello stesso sesso (lo posso concedere!). Basta l’amore per adottare e diventare una famiglia anche se si è gay. E qui la mia risposta è “no”. Tu coppia etero sterile o infertile hai tanto amore da donare così come ce l’ha sicuramente anche una coppia gay, ma il centro del problema non è l’amore e nemmeno il fatto che potrebbe darsi (ne dubito) che un bambino che cresce in un nucleo famigliare gay non manifesti problemi di identità durante l’adolescenza. Il nodo della questione è la storia personale, la ricerca della proprie origini e l’identificazione che trovo personalmente già essere nodi cruciali ed estremamente delicati da gestire da parte di un figlio adottivo che cresce in una famiglia etero, figuriamoci in una omoparentale. Che storia è la mia? Di chi sono figlio (o figlia) davvero? Perché mi hanno voluto (a tutti i costi) adottare o peggio ancora far nascere utilizzando il seme di un donatore “anonimo”? Ciò a mio parere non ha niente a che vedere con l’amore condiviso con l’altro genitore/coniuge/partner. Sono nato (o nata) in un utero in affitto perché così tanto e amorevolmente ed egoisticamente desiderato dai miei genitori gay? Chi sono io? Da dove vengo? Questi sono dei macigni mentali che questi bambini dovranno gestire in eterno: bel dono d’amore da parte di due genitori egoisti! Vengo definita intollerante e fascista. Qualcuno mi chiama ciellina. Non sono nulla di tutto ciò, non so nemmeno se ad oggi credo in un dio. La mia opinione deriva esclusivamente dalla mia personale esperienza vissuta sulla mia pelle! Mi metto nei panni di questi bambini, essendo a mia volta passata per queste strade poco ascoltate perché poco capite da chi ci sta intorno, persone che non possono nemmeno immaginare che cosa voglia dire fare i conti con i propri vuoti esistenziali e la ferita dell’abbandono. Riflettiamo su problemi molto più a monte. Continuo, però, anche a domandarmi come mai i protagonisti di questo acceso dibattito siano soltanto i parlamentari e le persone che si battono per vedere riconosciuti alcuni particolari “diritti” (gay e relative lobby, politici che fanno propaganda indiretta). Ripeto ancora una volta che non sto vedendo coinvolti i figli adottivi (adulti) né tanto meno gli enti accreditati (in Italia sono decine) per le adozioni. Credo che questa mancata presa di posizione celi ovviamente un fine: vedere aumentare nel prossimo futuro le adozioni internazionali, che in Italia si pagano ancora migliaia di euro! L’organo governativo che controlla la correttezza dell’iter adottivo (Cai) dov’è? Cosa pensa? Perché non prende posizione in maniera così pesante e “allo scoperto” come lo stanno facendo le lobby gay? Mi è quindi chiaro che probabilmente nessuno vuole interferire pesantemente in questa lotta (di lobby) che altro non è che un vero business a 360°. Per i soldi e con i soldi, purtroppo, tutto diventa facilmente “fattibile”, “normale”, “naturale”, “raggiungibile”, “sormontabile”, “lecito”. Il denaro muove davvero tutto, mi lasci passare questo luogo comune. Trovo la mente di troppe persone impermeabile agli approfondimenti del cuore. È faticoso pensare, mettersi nei panni di altri; molto più semplice seguire l’onda della lotta per una finta libertà. Firmi solo con le mie iniziali, per favore. Cordiali saluti.

M. R.

 

logo avvenireGrazie, cara amica per la fiducia. Quanta vita prorompe da questa lettera scritta di slancio eppure lucidamente pensata, con una franchezza che non teme, a tratti, di farsi durezza. Quanta profonda, personale eppure non individualistica, esperienza c’è dentro. E quante domande vi risuonano. Briciole di saggezza, proprio come quelle che avevo trovato nella lettera delle due ragazze tredicenni che, domenica scorsa, 14 febbraio 2016, ho offerto alla riflessione di tutti, nessuno escluso. Briciole di un pane buono e che dovrebbe essere davvero indimenticabile, se vogliamo continuare a essere umani e, dunque, accoglienti e giusti. Raccolgo a una a una anche queste briciole e le depongo con rispetto, ma con decisione, davanti a ognuno dei parlamentari di Camera e Senato impegnati nell’esame e nel voto del cosiddetto ddl Cirinnà su unioni civili e adozioni omosessuali, ma anche davanti a ognuno di noi, che è stato e resterà per sempre e prima di tutto “figlio”. Presunzioni, dissimulazioni, interessi e affari si rivelano nella loro vanità al cospetto della vita vera.

 

Marco Tarquinio

Direttore di “Avvenire”