I discepoli non comprendono il messaggio di Gesù e, anziché interrogarlo, si chiudono nel loro egoismo. È Gesù stesso a provocarli, incorraggiandoli all’accoglienza: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Da questo episodio del Vangelo di Marco (Mc 9, 30-37) prende spunto la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Ai.Bi. Amici dei Bambini e de La Pietra Scartata per domenica 21 settembre.
Prima Lettura Sap 2,12.17-20 Dal libro della Sapienza
[Dissero gli empi:]
«Tendiamo insidie al giusto,
che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».
Seconda Lettura Gc 3,16–4,3Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.
Vangelo Mc 9,30-37 Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
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La Parola di Dio del vangelo di questa domenica ci interpella in modo forte e stimolante. Prima di entrare nel ‘folto’ di questo ricco vangelo, mi piace sottolineare come per ben due volte qui si sottolinei che i discepoli non comprendono Gesù.
Una prima volta, si dice: «essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo». Non solo non capiscono, ma stanno anche zitti. Non dicono di non capire e quindi, se fanno così, non potranno mai capire perché non capiscono.
Hanno perfino paura a chiedere a Gesù.
Forse non vogliono fare una brutta figura davanti a lui. O forse sono talmente storditi e confusi dalle sue parole – che per la seconda volta annunciano chiaramente morte e resurrezione – che non sanno nemmeno da che parte cominciare. O forse sono troppo ostili, in questo momento, a parole che proprio non comprendono. Chissà …
Sta di fatto che, una volta entrati in casa, è Gesù stesso che fa loro una domanda, tra il curioso e il provocatorio.
Non che Gesù sapesse di che cosa avevano parlato. Molto verosimilmente, però, li aveva visti confabulare e discutere tra loro: «di che cosa stavate discutendo per la strada?».
Invece che parlare con Gesù, invece che chiedergli quello che non avevano capito delle sue parole, questi discepoli si erano messi a discutere animatamente, tra loro, per sapere «chi fosse più grande tra loro».
Perciò, alla domanda di Gesù, semplice e tanto umana, questi poveri discepoli stanno semplicemente zitti: «ed essi tacevano».
Qui il vangelo di Marco sottolinea la grande incomprensione da parte dei discepoli, la loro incapacità di entrare in relazione con le parole di Gesù che li sorprendono.
Allora, preferiscono lasciar perdere, si ritirano nel loro piccolo egoismo quotidiano, fatto di liti, di competizione, di rivalità, di gelosie, di incomprensioni, di meschinità …
Mi pare di trovare in questi discepoli una immagine eloquente di noi, oggi, e di tante nostre comunità cristiane.
Quante volte, dinanzi alla Parola di Dio, anche noi non comprendiamo e, invece che lasciarci provocare e stimolare dalla nostra incomprensione, ci rinchiudiamo in noi stessi, nelle nostre miserie quotidiane.
Quante volte, dinanzi alla sorpresa di una Parola bellissima, rinunciamo ad entrare in relazione profonda con Colui che ci parla e ci apre a noi stessi.
Quante volte ci ritiriamo nell’indifferenza o nell’apatia, perché non vogliamo lasciarci scomodare dalla Parola di Gesù!
Ma una comunità che non ascolta la Parola, un credente che rinuncia a comprendere, come possono ancora dirsi davvero cristiani?
Se entriamo un po’ di più nel vangelo di questa domenica, non possiamo non rimanere colpiti dalla ‘differenza’ tra Gesù e i discepoli.
In questo momento della sua vita, Gesù ha ben compreso che il suo destino va verso una fine tragica: verrà «consegnato nelle mani degli uomini», verrà «ucciso». Egli sta incontrando una crescente ostilità nei suoi confronti e sa che, se continua per la sua strada, provocherà una reazione rabbiosa e dura di chi non accetta il suo stile, le sue parole, i suoi gesti. Lo uccideranno.
Eppure Gesù va avanti, con determinazione, su questa strada, perché è un uomo leale, coerente, che crede in quello che fa …
Egli ha una speranza, certa e forte: dice di sé che, «una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».
Poco prima, aveva portato tre dei suoi discepoli sul monte Tabor, per mostrare loro la sua gloria, la sua bellezza, la sua identità filiale.
E ora, dopo quell’evento eccezionale, con la sua Parola ritorna ancora ad aprire gli occhi dei suoi, verso un evento che, quando accadrà, li lascerà stupiti, perfino increduli: «dopo tre giorni, risorgerà».
Certo, questi discepoli non potevano sapere che cosa significasse ‘risorgere’, per Gesù. Non potevano saperlo perché la sua risurrezione è un evento unico nella storia dell’umanità. Non era mai accaduto, prima di lui, che un uomo risorgesse per non morire mai più e, dopo di lui, questo accadrà solo a chi lo riconoscerà come il proprio Signore e il proprio Maestro, primogenito di ogni creatura!
Dunque, possiamo ben comprendere l’incomprensione dei discepoli.
Ma, in loro, come in noi, c’è più di una semplice incapacità di comprendere le sorprese di Dio. In loro, come spesso in noi, c’è una resistenza, perfino un rifiuto a lasciarsi istruire, a lasciarci plasmare dall’altezza della sua Parola.
All’altezza di Gesù, infatti, corrisponde la ‘bassezza’ dei discepoli. Non solo non capiscono. Molto di più, mentre non comprendono, in aggiunta, si rinchiudono nelle loro meschinità. Per via, dopo le ‘sublimi’ parole di Gesù, loro hanno parlato e discusso su chi fosse il più grande.
La seconda lettura, dell’apostolo Giacomo, ci offre una descrizione spietata, quasi una fotografia istantanea, di quello che era accaduto tra i discepoli.
Nelle parole dell’apostolo Giacomo – molti anni dopo la scena che lui stesso aveva vissuto con Gesù! – possiamo riconoscere bene anche noi stessi.
Giacomo canta in modo lirico della «sapienza che viene dall’alto», da Dio, e dice che questa «è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera». È pace e giustizia.
Sono parole molto belle, che si commentano da sole.
Gesù ha incarnato queste parole.
L’apostolo Giacomo chiede alla sua comunità: ma «da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?». E poi, poco prima, aveva parlato loro della gelosia, dello spirito di contesa, dei disordini, delle azioni cattive … È di queste cattive passioni che – dice Giacomo ai suoi – voi siete (di nuovo) caduti schiavi.
Avere conosciuto Gesù, essere stati vicino a lui, avere incontrato la sua Presenza e ascoltato la sua Parola, non ci garantisce dalla gelosia, dalle contese insaziabili, dalle lotte meschine.
L’apostolo Giacomo fa una descrizione micidiale della ‘radice’ di tutte le divisioni e le contrapposizioni, che possono lacerare anche le nostre comunità: «siete pieni di desideri e non riuscite a possedere». I desideri non sono certo cattivi, anzi! Lo diventano però quando sono insaziabili, quando ci rapiscono e ci portano a compiere ogni sorta di male, per essere soddisfatti.
Questa però non è l’ultima Parola del Vangelo di oggi.
Al silenzio dei discepoli, che non osano nemmeno riconoscere le proprie colpe, Gesù risponde con pazienza straordinaria. Si siede, chiama a sé i Dodici e dona loro una Parola luminosa, che li scuote e apre loro una grazia di vita nuova: «se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
È una Parola bellissima. Ovviamente, anche questa va ben compresa. Non è che Gesù dice: ‘fatti furbo. Se vuoi essere primo, fa finta di essere l’ultimo. Così ti troverai primo’. No. Gesù ci dice che l’ultimo, chi serve, è il primo. È il primo proprio perché è l’ultimo.
E accompagna questa Parola con un gesto bellissimo. Prende un bimbo, piccolo, indifeso, lo mette in mezzo – vi immaginate lo stupore di quel bambino? –, lo abbraccia con affetto e tenerezza e poi dice ai suoi che (solo) chi accoglie «uno solo di questi bambini», accoglie lui e annuncia loro che chi accoglie lui, accoglie il Padre che lo ha mandato.
Non c’è altro modo per accogliere la Parola se non accogliendo Gesù e non c’è altro modo per accogliere Gesù se non si accolgono i piccoli.
Perché lui è nei piccoli.
Gesù è un piccolo.
Lui è la ‘piccolezza’ di Dio, che si affida alle nostre mani di uomini.
A noi Gesù chiede di accoglierci gli uni gli altri come piccoli e di lasciarci accogliere dagli altri, come piccoli.
Questo ci chiede oggi la Parola.
Ma Gesù ci domanda questo perché lui stesso, con la sua Presenza, ci ha donato di essere accolti, nella nostra piccolezza.
Ciascuno di noi è questo ‘piccolo’ che Gesù abbraccia, con tenerezza e per grazia!