Cina. La lunga notte di Shan: troppa paura di restare di nuovo solo

bbQuanto è difficile per un bambino che ha vissuto sulla sua pelle l’abbandono, fidarsi di un adulto? Quanto tempo impiegherà per affidarsi di nuovo a qualcuno? Quanto dovrà lottare tra le sue paure e insicurezze prima di lasciarsi andare tra le braccia e le coccole di quella “figura” che ora lo tiene con se e cullandolo prova a farlo addormentare? E’ un ‘lavoro’ lungo e impegnativo, e un genitore adottivo lo sa. Deve solo avere pazienza e anche nel silenzio della notte, mentre canta la ninna nanna al suo bambino, trasmettergli quel senso di sicurezza che fino a quel momento non ha provato. Perché lui non vuole essere fregato un’altra volta! A raccontarci una lunga notte con il suo Shan è papà Lorenzo…

Care Cristina, Marta e Lisa,

mi ricordo, come fosse successa ieri, di una lezione al liceo tenuta dal mio professore di filosofia che “perse” un’ora per spiegare a noi adolescenti superficiali e ignoranti cosa fosse la fiducia. Ricordo che lui la chiamò “fede”, forse per spingerci ad interrogarci o per catturare la nostra attenzione visto che all’età del liceo il discorso “fede” è un tema che scotta.

Disse che la fede è la prima cosa che si impara da bambini, ovviamente dopo il respirare. Un bambino si fida della madre. Istintivamente si abbandona a colei che lo ha generato, che lo coccola, che gli da cibo,  che lo riscalda, che se ne prende cura. Un bambino che non si fida è un bambino morto.

E poi continuando, passando ad un età più grande il professore disse che anche noi abbiamo fede. Tutte le volte che torniamo a casa e troviamo un piatto di pasta ci fidiamo di chi lo ha preparato. Lo mangiamo e basta, non ci comportiamo come se il piatto di pasta ce lo desse uno sconosciuto, non ci domandiamo se è buono o no, non ci facciamo venire il dubbio che sia avvelenato: abbiamo fede.

Dopo un’ora e mezza, dalle tre alle quattro e mezza, della notte scorsa passata a cercare di tranquillizzare il piccolo Shan, questa lezione mi è ritornata in mente. Ho provato anche a calcolare gli anni che sono passati da allora ma per non piangere, dopo aver capito che forse ne sono passati anche più di venti, ho lasciato perdere.

Di notti tranquille in Cina, fino ad ora ne ho passate poche. Shan tutto sommato non ha creato particolari problemi. Forse, prima di questa, solo un’altra notte ci aveva spezzato il sonno. Emma invece è particolarmente attiva nelle ore notturne. Come tutte le donne fatica a tacere. E lei questa fatica la fa anche di notte. Tre o quattro discorsetti per notte, a voce alta, non manca mai di farli. La notte scorsa, Emma ha fatto la brava, il fratello più piccolo invece ha deciso di approfittarne. E non è stata una cosa da poco. Già prima di cedere e di alzarmi per prenderlo in braccio ho trascorso un po’ di tempo a sentirlo muoversi agitato nel letto. Sperando che si tranquillizzasse e riprendesse sonno l’ho lasciato un po’ da solo cedendo alla parte di me “non interventista”. Poi, più passava il tempo e più è prevalsa la spinta ad intervenire giustificata dal fatto che il piccolo, per due anni se l’è già cavata sempre da solo e ora merita un piccolo aiuto. Non pensavo però che la cosa sarebbe andata così per le lunghe. Più o meno 90 minuti ci sono voluti per farlo tranquillizzare e per permettergli di riprendere sonno. Faticosissimo. Le veglie notturne sono la cosa che meno sopporto dell’essere genitore. Però non si può fare altrimenti. E in quei lunghissimi minuti, tra passeggiate chilometriche al buio e ninna nanne infinite c’è molto tempo per pensare.

E io ho pensato che il piccolo Shan di fiducia ne ha davvero poca.

Ha poca fiducia in se stesso. Lo vedo nel camminare. Sempre un po’ titubante. Ogni giorno allarga il suo cerchio di azione ma per esplorare tutta la stanza serve ancora una settimana. E’ partito dal tappeto del salotto, poi il giorno dopo si è spinto agli armadietti del corridoio, poi in cucina e attorno al tavolo, oggi ha messo il naso nelle due stanze, e chissà se domani arriverà fino ai bagni o all’ingresso. Comunque lo vedo che ogni passo in più è ponderato attentamente. Non è spregiudicato o temerario ma molto cauto e sempre un po’ timoroso. Può essere una questione di carattere ma secondo me gioca un ruolo importante la sua storia. Pietro non è di certo un cuor di leone, non lo è mai stato. Ma aveva e ha tuttora una curiosità tale che anche se l’ambiente era nuovo, lui andava e esplorava, forse perché era sicuro che dietro c’eravamo noi, sempre con un occhio su di lui. Per me Shan non è certo che su di lui ci sia il nostro sguardo sempre, non sa che lo osserviamo, lo curiamo ed esultiamo per ogni passo mosso nella nuova direzione.

Secondo me Shan ha anche poca fiducia negli altri. Anche in me e in sua madre. E’ vero che a noi si è affidato. Da noi prende il cibo e le coccole. Ci sorride e sta bene quando è giorno. Il discorso cambia quando è stanco oppure quando è notte. E proprio questa notte secondo me, me lo ha detto e ridetto per novanta minuti: “Non mi fido!”.

Il suo essere agitato anche in braccio, il non volersi calmare anche se cullato e coccolato, il rifiutare le coccole, il voler essere rimesso nel letto nonostante non riuscisse a riprendere sonno, secondo me sono stati atteggiamenti della lotta che sta combattendo dentro di sé in questo momento: “Mi fido o no di questi due?”. Da un lato è spinto ad abbandonarsi, dall’altro ha paura. Non vuole essere fregato un’altra volta.

Lui non lo sa che non lo fregherò mai, però io non ho altro modo per dirglielo se non aspettare pazientemente quei novanta minuti. Questo sarà forse il lavoro più difficile. Non il portargli a casa di che vivere quanto il convincerlo che su di me, su sua mamma e su tutta la sua famiglia può e deve contare. Di noi si deve fidare. Non so quanto ci vorrà, forse anni. Penso che questo sia uno, forse il più grande, problema che si porta dietro l’abbandono: la scarsità, per non dire mancanza, di fiducia in se stesso e negli altri.

Lavorare su questo aspetto, qui, durante queste tre settimane, è facile. Siamo assieme tutto il giorno. Ciò che mi spaventa è il ritorno a casa, con il lavoro, gli altri impegni, le mille cose da fare. Il tempo a disposizione da trascorrere insieme per saldare e costruire questa fiducia sarà inevitabilmente minore anche se abbiamo cercato di eliminare tutto ciò che non è strettamente necessario.

Ci mancava ora, dopo la paura dell’incontro, la paura delle prime ore, la paura delle prime notti e la paura per il primo volo aereo, anche la paura del rientro! Ma quando finirà questo viaggio del terrore?

Concludo con un indovinello. Una settimana fa arrivavamo qui a Pechino e lo abbiamo pesato. Sei chili e ottocento grammi di uomo. Stessa ora, sette giorni dopo, secondo voi a quanto siamo arrivati?

Vi do un aiutino: il ragazzo si è fidato, per cui sparate alto!

A presto,

Lorenzo