Come comprendere il dono dello Spirito Santo anche ai nostri giorni?

pentecosteIn occasione della Domenica di Pentecoste, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi trae spunto dai brani degli Atti degli Apostoli (At 2,1-11), della Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8,8-17) e del Vangelo di Giovanni (Gv 14,15-16.23b-26).

 

La solennità della Pentecoste arriva al culmine e al compimento del ‘mistero’ pasquale.

Mentre ci lasciava definitivamente, come abbiamo ascoltato la scorsa domenica, solennità dell’Ascensione, Gesù ci ha promesso il dono dello Spirito Santo. Anche nel Vangelo di oggi, Gesù dice: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi». Quante parole ci ha lasciato la Parola! E queste parole sono giunte fino a noi nella parola dei suoi discepoli.

La Parola di Dio ci è data nelle parole degli uomini, i discepoli di Gesù.

Questi hanno ricordato le parole dette loro da Gesù e ne hanno progressivamente compreso il senso, senza mai arrivare ad esaurirlo e tutto questo solo grazie al dono dello Spirito!

Questo è avvenuto secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di oggi: «ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Lo Spirito è come il Maestro che ricorda e insegna la profondità di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto.

Ma le parole di Gesù, anzi la sua Parola, al singolare, non è sua: è del Padre che lo ha mandato! Dunque lo Spirito ci dona di fare memoria della Parola del Padre, quella Parola pronunciata nell’eternità meravigliosa di Dio, nella pienezza sovrabbondante di un amore che si dona, si comunica, nel Padre, e si riceve, e si comunica, nel Figlio, che è Parola donata e ricevuta, in un dialogo di amore incessante e, per noi, ‘al di là’ di ogni possibilità di immaginazione.

Questo dialogo è giunto a noi nella Parola che si è fatta carne, nella storia di Gesù, nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi sguardi, nei suoi silenzi, fino alle pieghe più nascoste della sua vita quotidiana.

Gesù ci ha lasciato, ma non ci ha abbandonato. Lui stesso, come dice il Vangelo di oggi, ha pregato il Padre, perché ci donasse, in sua assenza, «un altro Paràclito», un altro avvocato, un altro difensore, che ci stesse vicino, a nostro favore e a nostra protezione, e che rimanesse con noi «per sempre».

È bellissimo questo «per sempre»! Ci dice della fedeltà di Dio che, oltre e grazie alla storia terrena di Gesù, rimane con noi, definitivamente. Non saremo mai più soli, «per sempre». È nello Spirito che Padre e Figlio prendono dimora «presso» di noi, in ciascuno di noi, nelle nostre parole, nel nostro agire, nella nostra vita quotidiana.

Nella seconda lettura, dal famoso cap. VIII della lettera ai Romani, Paolo ci scrive «che lo Spirito di Dio abita in voi». Questo Spirito dà vita ai nostri «corpi mortali», rendendoli corpi spirituali, corpi animati dallo «Spirito di Dio», «che ha risuscitato Cristo dai morti», corpi destinati fin d’ora non alla morte, ma alla pienezza di vita di Gesù Risorto, corpi vivi, per l’eternità.

Tutto questo è già cominciato. Paolo scrive: «se … mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete».

C’è una lotta, nel cristiano, tra le opere del corpo e le opere dello Spirito. Attenzione però, qui l’opposizione non è tra corpo e anima (o spirito), ma tra una vita senza Dio (in questo senso, un corpo senza Dio) e una vita abitata dal dono sovrabbondante di Dio che ci trasforma, per grazia.

E in che cosa consiste questa trasformazione che lo Spirito opera in noi?

Paolo risponde dicendo, in una bellissima sintesi, che «tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio». Da creature, già immagine di Dio, a figli.

Lo Spirito porta a compimento ciò per cui ciascuno di noi, ciascun uomo e ciascuna donna, è stato creato: essere immagine di Dio. L’unica immagine di Dio sulla terra è l’uomo vivente.

E quale è l’immagine più bella di un padre se non quella di un figlio?

Così noi possiamo essere immagine del Padre che si è rivelato e donato a noi nel Figlio, grazie al dono dello Spirito, che abita in noi per sempre, guidandoci, diventando quindi, per noi, una guida, un maestro, colui che ci conduce lungo la strada dell’amore e della confidenza.

Due sono i tratti distintivi di questa condizione ‘filiale’ che è l’opera dello Spirito in noi: sono la fiducia e l’eredità.

Lo Spirito fa morire in noi lo «spirito da schiavi» che ci riempie di paura, e fa crescere in noi uno spirito di confidenza, di fiducioso abbandono, uno spirito di tenerezza filiale.

È in questo Spirito che noi «gridiamo: «Abbà! Padre!» e così facciamo nostro il grido che Gesù rivolgeva a suo Padre, chiamandolo con dolcezza e fiducia di bimbo: “Papà!”. Questa fiducia ci apre alla speranza di partecipare all’eredità di Dio, la sua gloria, la sua bellezza graziosa, la sua pienezza di amore e di dono!

L’ultimo tratto dello Spirito – che è inesauribile – che ci è dato nella parola di Dio di questa solenne Pentecoste, è che lo Spirito è come «un vento che si abbatte impetuoso», un vento gagliardo, accompagnato da un fragore.

È come un vento, lo Spirito. È come un soffio, lo Spirito, un vento che scuote, che apre a cose nuove e meravigliose, un soffio che dà vita e respiro, un soffio che rianima là dove c’era la morte.

Quel vento, quel soffio di Dio, nel giorno di Pentecoste, «riempì tutta la casa dove stavano», sottinteso, quei centoventi fratelli che erano radunati per scegliere colui che avrebbe dovuto prendere il posto di Giuda. Tra questi, che erano «perseveranti e concordi nella preghiera», c’era anche Maria, la madre di Gesù.

Lo Spirito raggiunge ogni angolo della casa; ogni soffio di vita dei presenti respira di questo soffio di Dio, che purifica ed entra nella carne, rendendola viva, vivace, operante, piena di vita.

Insieme al vento, invisibile, ma visibile nei suoi effetti, lo Spirito qui è descritto anche come «fuoco», un fuoco che «piega …, scalda …, drizza …», come dice poeticamente la bellissima sequenza della Pentecoste. Un fuoco che è «luce beatissima», che ci invade «nell’intimo».

Questo fuoco, dice il racconto degli Atti, ha la forma di fiammella, come una lingua di fuoco. Così lo Spirito dà il dono della lingua. Coloro che lo ricevono, infatti, parlano «delle grandi opere di Dio», annunciano le meraviglie della grazia, e ciascuno di coloro che ascoltano li sente «parlare nella propria lingua».

Lo Spirito ‘traduce’ le differenze’. Non le abolisce, ma le mette in comunione.

La Chiesa è questa grande comunità dove ciascuno parla la sua lingua, ciascuno agisce secondo i suoi doni, e tutto questo viene accolto nella comunione e nell’unità.

Lasciamoci convertire da questo dono, perché le lingue e i doni diversi che arricchiscono le nostre comunità possano cantare insieme, oggi, le grandi opere di Dio!