“Come può un Dio buono non darci quello che gli chiediamo, che pure è buono?” Domanda cristiana o solo narcisista?

vedova-e-giudice-2In occasione della XXIX Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro dell’Esodo (Es 17,8-13), della seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (2Tm 3,14-4,2) e del Vangelo secondo Luca (Lc 18,1-8).

 

Oggi la Parola di Dio sembra parlarci non solo della preghiera, ma soprattutto della forza, della potenza e dell’efficacia della preghiera.

Così nella prima lettura: mentre Giosuè combatte in battaglia contro gli amaleciti, Mosè sta sulla cima del monte, in preghiera: «quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk».

Così sembra anche nel Vangelo: «le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». Se questo giudice iniquo, «che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno», alla fine ascolta questa povera vedova, chissà cosa farà Dio per noi, per esaudire le nostre richieste. “La ascolterò, le darò quello che vuole, quello che mi chiede”, così conclude questo ‘giudice’ che nella parabola – sebbene per contrasto – rimanda a Dio!

E, invece, potremmo dire noi, non è così!

Quante volte abbiamo chiesto a Dio una cosa che ci sembrava buona, e non l’abbiamo ottenuta!

Pensate, ad esempio, a quante volte abbiamo chiesto la pace, nel mondo o in una famiglia. Oppure pensate quante volte abbiamo pregato il Signore perché ci desse la forza o l’abbiamo chiesta per un’altra persona … e Dio non ci ha donato questa cosa!

E questo sembra smentire non solo queste parole di Gesù, ma la stessa immagine di Dio come buono. Come può un Dio buono non darci quello che gli chiediamo, che pure è buono?

Qui c’è qualcosa che non torna!

Infatti …

Dobbiamo ascoltare più in profondità le parole di Gesù.

Questa parabola non ci assicura affatto che noi quando preghiamo otteniamo da Dio quella cosa buona che gli chiediamo! Se fosse così, dietro questa ‘certezza’ – o pretesa – si nasconderebbe un pericolosissimo narcisismo, un insopportabile egoismo dinanzi a Dio. Saremmo noi a decidere che cosa è buono. Saremmo noi a ottenere da Dio quello che noi decidiamo che sia buono.

La preghiera diventerebbe il ‘luogo’ per le nostre pretese.

Sarebbe il contrario di una relazione …

A me pare che questa parabola ci dica una sola cosa: Dio è l’unico che sia degno della nostra incondizionata fiducia.

Nessun altro.

Nemmeno io posso fidarmi di me stesso come io (invece) posso fidarmi di Dio. La preghiera è quel tempo meraviglioso nel quale questa incondizionata fiducia cresce, si alimenta, si rinnova, si converte e ci trasforma.

Questo però non si realizza senza fatica, come allude con chiarezza la prima lettura.

Il racconto di Genesi dice che «Mosè, tenendo alzate le braccia verso il cielo nella preghiera, sentiva pesare le mani». Non si tratta solo di uno sforzo fisico. Questa è un’immagine per dire la ‘fatica’ della preghiera.

Pregare è faticoso. Stanca.

La fatica sta nel fatto che, quando preghiamo, quasi sempre noi non vediamo nessun frutto, nessuna buona conseguenza, nessun effetto. Nemmeno in noi stessi.

Quante volte la preghiera ci sembra arida, perché ci pare di non ‘sentire’ nulla, di non vedere nessuno, di non udire (sentire) nulla di Dio.

Magari abbiamo anche la Parola della Scrittura sotto gli occhi, ma questa non sembra dire nulla a noi. Ci pare distante dalla nostra vita. Muta.

È proprio nella fatica che ci è chiesta una fiducia incondizionata!

In questa luce rileggiamo la parabola di Gesù.

L’evangelista Luca dice che il Maestro la racconta per istruire i discepoli «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai». Quasi a dire: Gesù conosce la debolezza dei discepoli, che è anche la nostra debolezza.

La tentazione più facile è di pregare solo quando ne abbiamo voglia, quando ne sentiamo il ‘bisogno’, più che il desiderio, quando proprio non ne possiamo fare a meno. Ma tutto questo è molto variabile, da persona a persona: c’è chi prega, e prega volentieri, quando è felice, contento e ha da ringraziare. Al contrario, c’è chi prega solo quando è nel ‘bisogno’, nella necessità, per ottenere da Dio quello che sfugge alle sue possibilità.

Io credo che questo – tutti e due questi atteggiamenti – non sia affatto sbagliato. Il problema è che preghiamo solo in una o nell’altra circostanza.

Quello che ci insegna la figura di questa povera vedova, tanto insistente, è proprio la sua ‘perseveranza’, la sua umile e tenace resistenza.

Questa donna chiede giustizia a un giudice disonesto. È una specie di contraddizione. Come fa un uomo ingiusto a realizzare la giustizia?

Eppure questa donna non si ferma. Non si scoraggia. Non si arrende. Quello che chiede sembra impossibile. Ma lei non demorde.

Alla fine, dice Gesù, questo giudice la ascolterà non perché è giusto, né perché è buono, ma solo per non essere più importunato. «Le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”», dice proprio così.

Da qui viene la conclusione, fuori dalla parabola, indicata dallo stesso Gesù. «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Non solo: «Li farà forse aspettare a lungo?».

Gesù dice che non solo Dio ci ascolta, ma che ci ascolta subito.

Ecco questo è il senso, il cuore e la punta della parabola: la fiducia, incondizionata, che Dio ci ascolta.

Gesù stesso chiede, per questo, alla fine: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Vedete, la questione centrale nella preghiera è la fede. Se un cristiano non prega, la sua fede si spegne. Esattamente come se una persona smette di respirare, la sua vita si spegne. E viceversa!

Dio ci ascolta. Gesù dice che Dio «farà … giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui».  Propriamente – e non è una cosa secondaria – non dice affatto che Dio ci darà quello che gli abbiamo chiesto. Gesù dice, piuttosto, che Dio ci farà giustizia. E chi più di Lui sa qual è la cosa giusta, la cosa buona?

Non solo: la giustizia di Dio sta nel chinarsi su di noi con amore, per grazia.

La fede è la scelta perseverante e tenace, anche quando sembra smentita dall’evidenza, che la grazia di Dio non ci abbandona, ci sostiene, è con noi, sempre.

Questa è la fiducia incondizionata: l’atto di chi nella prova, nella fatica, si affida a Dio dicendogli: “io mi fido della tua grazia, della tua fedeltà alle promesse.

Come il tuo Figlio ci ha assicurato, lui che è il compimento di ogni grazia, io credo che tu sei fedele e non ci lasci soli, non ci abbandoni.

È di te che io mi fido.

Per questo ti prego, anche quando sono stanco, anche quando mi sembra che me ne manchino le forze, anche quando tutto sembra remare contro.

È a te che io mi affido, nell’attesa orante!”.