Come uscire dalla crisi della adozione internazionale: se ritornassimo al “fai da te”?

abbandono

Allo stato attuale le alternative non sembrano molte. O il sistema dell’adozione internazionale riesce a cambiare al suo interno, con le istituzioni di riferimento del settore che tornano a farsi carico dei propri doveri e delle proprie responsabilità. Oppure sarà la società a cambiare il sistema, cercando alternative all’impianto fondato dall’attuale legge e imperniato sull’obbligatorietà del ricorso agli enti autorizzati che si sta rivelando ampiamente inadeguato.

L’8° Rapporto di monitoraggio del Gruppo Crc (Children Rights Convention), presentato a Roma mercoledì 17 giugno, rappresenta, nel quadro della crisi dell’adozione internazionale, un allarme che non può essere ignorato. Le 90 associazioni operative per la tutela dell’infanzia che hanno redatto il Rapporto hanno infatti messo in evidenza le gravi contraddizioni che, da un anno a questa parte, caratterizzano l’operato della Commissione Adozioni Internazionali. Una Cai completamente paralizzata, che si è riunita una sola volta nell’ultimo anno e mezzo, che non accoglie le istanze degli enti per aperture nuovi Paesi, che non si incontra con gli enti, che non effettua le verifiche su di essi previste dal suo stesso regolamento, lasciandoli così totalmente autonomi per costi e procedure adottive. E ancora:  che non organizza missioni all’estero e neppure accoglie delegazione straniere.

Insomma  se l’ingranaggio fondamentale non funziona – in questo caso l’istituzione di riferimento per tutto il sistema – è inevitabile che il resto della “macchina” – l’intero settore dell’adozione internazionale – proceda da una lato senza controllo e dall’altro senza una spinta propulsiva. Il risultato è il caos. Da un lato ogni ente fa quello che vuole: costi diversi da un ente all’altro, pagamenti in contanti e in nero, obblighi di trasparenza non rispettati. Dall’altro non vi è alcuna  strategia per l’apertura di nuovi Paesi e alcun progetto di cooperazione con i Paesi di origine. Siamo davanti a un sistema totalmente bloccato  dal suo stesso meccanismo, il cui destino non può che essere una triste e repentina morte.

E pensare che una volta il sistema italiano dell’adozione internazionale, l’unico al mondo che comportava per le coppie adottive il passaggio obbligatorio attraverso gli enti autorizzati, era un modello per tutti gli altri Paesi.

A questo punto, in mancanza di una volontà del governo di ripristinare l’attività della Cai, una  via “italiana” per continuare a salvare migliaia di bambini dall’abbandono non può che essere un netto cambio di rotta. Che potrebbe configurarsi anche come un parziale ritorno al passato. Una possibile proposta, infatti, sarebbe quella di tornare al “fai da te”, un meccanismo in cui ogni aspirante coppia adottiva si possa organizzare come meglio crede, individuando da sola i Paesi in cui desidera adottare e mettendosi in contatto con gli avvocati del posto oppure rivolgendosi direttamente all’Autorità Centrale del Paese di origine. Lungi dal diventare un obbligo, il “fai da te” potrebbe rappresentare una buona alternativa. Le coppie che volessero invece rivolgersi agli enti potrebbero tranquillamente continuare a farlo.

Si delineerebbe quindi una sorta di “sistema misto”, sull’esempio di quello francese, in cui le coppie avrebbero la possibilità di scegliere se procedere con il “fai da te” o affidarsi agli enti, alcuni dei quali di natura pubblica.

Il futuro dei bambini abbandonati è sempre più nelle mani della società. Ed è alla società, nello specifico ai nostri lettori, che Amici dei Bambini si rivolge proponendo un sondaggio: per fare fronte alla crisi dell’adozione internazionale, sarebbe meglio tornare al “fai da te”? [poll id=”71″]