“Con la maternità dell’anima, l’adozione diventa un cammino di grazia”

Condivido con voi il bellissimo e profondo pensiero espresso oggi da mia moglie Susy:

“Io e mio marito, quando abbiamo deciso di sposarci, volevamo avere una famiglia numerosa, di sicuro con almeno un paio di figli. E ci abbiamo provato, in ogni modo, abbiamo provato con cure varie ed abbiamo provato tutto l’iter possibile e tutti i medici possibili. Eravamo sfiniti, nell’anima e nel fisico.

Poi piano piano, si è insinuato in noi un pensiero. I sacerdoti la definiscono: “chiamata”. E forse è proprio questo che Dio ha fatto. Ci ha chiamato! in modo differente, ma ci ha chiamato.

Ricordo sempre le parole di un sacerdote, che nel recitare la formula per consacrare il matrimonio di mia cugina disse: “la coppia accoglierà LE ANIME che Dio gli vorrà donare”.

È stato lì che è svanita la nebbia.

Non diventerò mamma attraverso il mio corpo. Esistono anime destinate a noi, sono in qualche parte del mondo, sono lì che aspettano ed io le devo trovare perché so che ci sono, le sento, non so come spiegarlo, ma sono lì.

Non nascondo la mia esperienza.

Credo si debba diffondere questo pensiero, bisogna far sapere a tutti che esiste la Maternità dell’anima e non solo quella del corpo”. (Susy Rondinella)

Non esiste verità più grande.

 

Carlo Orlandini – Susy Rondinella (in attesa sul Perù)

 

 fogliazzaCari coniugi,

Come non comprendere l’entusiasmo di Carlo per le parole della moglie Susy. È il sincero racconto di un cammino di grazia, la grazia di una sterilità che ha saputo e voluto scoprire la propria fecondità. Un cammino intrapreso condividendo l’esperienza di fede e fondato nel sacramento del matrimonio, che tuttavia non ha evitato di attraversare dure stagioni e brucianti delusioni. Un percorso che inizia con il pensarsi e desiderarsi moglie e mamma dei figli del proprio amato consorte, ma segnata dalla smentita del proprio primo progetto. La sfida della ipofertilità o della sterilità può essere subìta, terapeuticamente gestita (con esiti non sempre positivi e spesso esposta a procedure non condivisibili) o affrontata andando anche alla radice del senso della fecondità, non identificabile con la semplice fertilità.

I credenti, ma non solo loro, possono cogliere nella dura prova della sterilità una preziosa occasione per comprendere come il senso della generazione umana non sia riducibile alla gestione delle diverse tecniche di riproduzione: un figlio non si produce, non si acquista e non può essere ridotto ad oggetto di un diritto da ottenere con una qualsivoglia modalità di concepimento. Un figlio si accoglie, non si pretende. Un figlio è un dono ed è proprio all’accoglienza dei figli che il Signore chiama gli sposi; una vocazione, una “chiamata”, che non è riservata ai fertili, ma è rivolta a mariti e mogli che hanno deciso di amarsi e donarsi reciprocamente in totale libertà e incondizionatamente.

Proprio Papa Francesco nella recente Esortazione “Amoris laetitia”, affrontando il tema della sterilità, ricorda come questa situazione comporti sofferenza insieme alla consapevolezza che il matrimonio non è istituito e destinato soltanto per la procreazione (cf n. 178). Papa Francesco mentre evidenzia come “l’adozione sia una via per realizzare la maternità e la paternità”, ha desiderato “incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi” (cf n. 179). Per Papa Francesco coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (cfr Is 49,15).

Agli sterili, così come per altro verso ai fertili, non mancano sfide e trappole; nella gravidanza e nell’adozione il rischio del possesso, della strumentalizzazione e dell’asservimento ai propri desideri è sempre presente. Occorre intraprendere un cammino per cogliere la grazia che rende sempre e tutti fecondi, in grado di superare i vincoli del “sangue e della carne”, per coglierne l’autentica dimensione che viene offerta guardando la propria vita con il gusto dello Spirito del Risorto. Dio non determina l’abbandono e non causa la sterilità, ma chiama e sollecita la libertà degli uomini a non considerare tali condizioni una radicale smentita del senso della vita e delle sue positive relazioni: così, tramite l’adozione, l’abbandono non è l’ultima parola nella vita di tanti bambini e la sterilità non soffoca l’autentica fecondità di molti sposi.

L’approfondimento di questi temi può essere accompagnato dalla lettura dei contributi raccolti nel libro curato da M. Griffini, Sterilità feconda – un cammino di grazia (Milano, 2009) e l’articolo di M. Chiodi, Il senso antropologico della sterilità nella coppia, in “Lemà sabactàni?” n. 9(2012), pp. 43-61.

 

Gianmario Fogliazza

Centro studi teologici di Ai.Bi.