Congo, Julius: il suo primo gesto di accoglienza della nostra adozione

Difficile comprendere le dinamiche che creano il primo rapporto tra i genitori adottivi e il nuovo figlio. A volte il piccolo può dimostrare inclinazione per una sola delle due figure, perché deve ancora risolvere un lungo conflitto interiore contro il genitore che l’ha abbandonato; altre invece, il figlio o la figlia intuiscono esattamente quello che devono fare. E l’abbandono si supera assieme, in tre: con un viaggio da parte della coppia, atto di giustizia che si declina nelle forme dell’accoglienza, e con un gesto da parte del piccolo, un atto d’amore che non si cancella mai più dalla memoria. Scopriamo qual è stato il gesto di Julius, nuovo figlio dell’adozione.

Intervistiamo una coppia adottiva dal Congo. «Il mondo dell’adozione ci ha colpito sin da subito; ci sentivamo pronti ad intraprendere questo difficile cammino pieno di ostacoli… perché in fondo vedevamo nel nostro cuore una luce: nostro figlio»: queste le parole di Franca e Giovanni, due genitori adottivi di 45 anni che nel 2009 hanno iniziato il loro lungo iter adottivo, e che hanno accettato di raccontarci la loro avventura.

Un percorso lungo 3 anni. Come avete iniziato il cammino?

«L’incontro maturativo è stato veramente illuminante. Abbiamo trovato delle persone autentiche e professionali; persone, ripeto, che con competenza e con cuore ci hanno guidato e sostenuto in questa scelta consapevole ma difficile – racconta Franca –. Proprio in virtù di questa umanità che abbiamo respirato, a dicembre del 2010 abbiamo deciso di dare il mandato al nostro Ente e a fine gennaio 2012 siamo partiti per il Congo, a conoscere Julius».

Adottare in Congo riserva gioie incredibili, ma sa destabilizzare le coppie… Qual è stato il vostro impatto con il Paese?

«La realtà del Congo è davvero difficile, tremenda – prosegue Franca –, se non la si guarda con i propri occhi non se ne può comprendere il degrado né la miseria. Strade dissestate, immondizia, cattivo odore. Vedi tantissimi bambini senza famiglia. Bambini impauriti, affamati, in cerca d’amore, di una semplice carezza. Ma eravamo lì per lui. Una volta arrivati, siamo stati condotti nell’istituto dove ci attendeva il nostro piccolo. È comparso ai nostri occhi d’improvviso: intimidito, impaurito; uno scricciolo. L’impatto emotivo è stato fortissimo. Julius, era magrissimo, con i capelli completamente rasati. Si vedevano solo i suoi grandi occhioni desiderosi d’amore. Eravamo in lacrime, ma erano lacrime colme di gioia, di desiderio di portarlo via con noi da quel mondo orribile. La prima cosa che ha fatto è stata abbracciare il suo papà come se da sempre fosse stato suo! Poi abbiamo iniziato a colorare insieme, a giocare, lui cercava continuamente l’approvazione di mio marito. Ci siamo sentiti subito una famiglia, la sua famiglia.

Finito l’incontro dovevamo lasciare l’istituto. Lui ha capito che stavamo andando via, allora ha deciso di passare sopra a tutte le timidezze e si è fatto prendere in braccio, accettando di posare la testa sulla spalla di Giovanni… Ha capito che doveva darsi a noi per non essere più abbandonato. È come se si sia consegnato a noi.

Una volta saliti sull’aereo per tornare in Italia, ha voluto indossare i jeans, la felpetta e le scarpe che avevamo comprato per lui! Era così felice della sua nuova vita, glielo vedevi sul viso».

Sembra che Julius abbia trovato finalmente la sua dimensione. Ma il rientro a casa sta riservando qualche difficoltà?

«Devo dire di no. Nostro figlio oggi ha 7 anni ed è una continua scoperta quotidiana. Si sta ambientando alla sua casa, sta conoscendo i suoi parenti e ogni giorno vivere con lui è una grande sorpresa. Siamo troppo felici di questa esperienza» conclude Franca.

Un consiglio alle coppie che pensano a un’adozione?

«Avere pazienza, tanta pazienza per riuscire a gestire l’attesa; quell’attesa lacerante, che ti prende l’anima, che non ti fa dormire, che ti fa sognare che tutto finisca presto per abbracciare finalmente tuo figlio. L’iter è lungo, gli ostacoli sono tanti, ma ne vale la pena. Anche nelle giornate-no bisogna sempre pensare che la forza di superarle ti porta verso il tuo bambino. Nel nostro caso, farlo ci ha portato ad avere Julius con noi. E lui ci ha cambiato la vita».