Coronavirus e Fase 3. Che cos’è la “sindrome della capanna”?

Adolescenti (e non solo) che dopo il lockdown non vogliono uscire di casa. La psicologa lancia l’allarme

Oggi, mercoledì 3 giugno 2020, inizia ufficialmente in Italia quella che è stata definita come la Fase 3 dell’emergenza Coronavirus. Molte saranno le limitazioni alla libertà di movimento che cadranno: in primo luogo quella relativa alla possibilità di spostarsi tra una regione e l’altra. Ci sono però alcuni italiani, anche bambini e adolescenti, che, con la mente, sono rimasti alla Fase 1. E, nonostante la riacquisita libertà, preferiscono rimanere confinati nelle proprie abitazioni. Di chi si tratta? Sono coloro che soffrono di “sindrome della capanna”, detta anche “del prigioniero”.

Coronavirus e sindrome della capanna. Ne parla la psicologa Sara Reginella

Ne parla, in un’intervista al quotidiano Il Tempo, la psicologa Sara Reginella. “Abbiamo rilevato – spiega – questo problema come psicologi e come clinici: c’è una difficoltà a tornare a vivere. Lo dico come clinico, per la mia esperienza personale di lavoro e di studio (…) stare rinchiusi dentro casa, in isolamento, in una condizione innaturale per un periodo così lungo ha indebolito, dal punto di vista psicologico, molte persone (…) questa tendenza a non uscire non sempre è legata al timore del contagio ma è legata alla difficoltà di tornare a vivere”.

Un problema che, per l’appunto, tocca anche, se non soprattutto, i più giovani. “La chiamano – prosegue la psicologa – in modo divulgativo, la sindrome della capanna. E direi che sì, una parte degli italiani sta vivendo questo, e l’allarme non vale soltanto per gli adulti ma anche per gli adolescenti. Tutti questi ragazzi che hanno bisogno di socializzare, di stare a contatto con i loro coetanei, si sono ritrovati a casa per mesi, incollati ad un monitor. C’è una parte di giovani, e lo dico con preoccupazione, che è rimasta davanti ai video, a fare lezioni a distanza con la scuola, oppure con videogiochi, chat, PlayStation, applicazioni internet, e queste persone hanno adesso difficoltà ad uscire. Perché nell’equilibrio psichico di un giovane un isolamento di due mesi, a casa con i genitori, è una cosa estremamente forte”.

Coronavirus e sindrome della capanna: come si manifesta

Com si manifesta questa sindrome? Quali sono, cioè, i campanelli d’allarme che un genitore deve notare? Secondo la dottoressa Roberta Senese, specialista in psicologia clinica e psicoterapia, in un articolo per Paginemediche.it, “i sintomi più comuni sono: episodi di irritabilità; tristezza, paura, angoscia, frustrazione; stato di letargia, sentirsi stanchi, avere difficoltà ad alzarsi al mattino, percepire malessere fisico, avere la necessità di riposare spesso; difficoltà di concentrazione, scarsa memoria; demotivazione”.

Lo stesso articolo illustra anche i modi per contrastare questa situazione: “La sindrome della capanna o del prigioniero tendenzialmente dovrebbe sparire o diminuire nel tempo con il normalizzarsi della situazione esterna o con l’adattamento ad una nuova condizione, ma è possibile mettere in atto delle strategie per affrontarla”. Quali? “Accogliere le emozioni: si tratta di una normale fase emotiva successiva ad un lungo periodo di isolamento. Prendersi cura di sé: piccoli gesti quotidiani per soddisfare i propri bisogni. Stabilire obiettivi: gestire il tempo senza dare spazio all’insorgere di pensieri e preoccupazioni eccessive. Organizzare una routine giornaliera: lavoro, gestione della casa, tempo libero, esercizio fisico. Sapersi ascoltare: se lo stato di paura diviene ingestibile e impossibile da controllare è importante esserne consapevoli. A causa di questo periodo complesso, i sintomi della Sindrome della Capanna potrebbero sottendere disagi pregressi ed è consigliabile cercare l’aiuto di un professionista. Bisogna trasformare in positivo quanto accaduto: una circostanza senza precedenti durante la quale l’ancestrale capacità di adattamento dell’uomo è stata elemento fondamentale, in quanto ha determinato la possibilità di riflettere sul valore dell’essenziale, dando rilievo all’importanza degli affetti e degli elementi vitali, ridimensionando l’utilizzo del superfluo”.