Denatalità. l’Italia non fa più figli: mancanza di sostegni o problema culturale?

Al di là dell’inadeguatezza delle politiche per le famiglie, potrebbe esserci un’altra chiave di lettura della tendenza a fare sempre meno figli: l’aver messo le donne nella condizione di dover scegliere tra la maternità e la libertà di realizzazione personale

Sul drastico calo della natalità si è detto e scritto molto, specie ultimamente, dopo che gli Stati Generali della Natalità hanno rilanciato il problema a livello mondiale, con la presenza di Papa Francesco a dare un peso specifico incredibile all’evento.

Denatalità: problema politico o culturale?

In questa occasione, come nella stragrande maggioranza dei richiami politici, il problema della denatalità viene quasi sempre associato alla mancanza di politiche per la famiglia, di fiducia nel futuro, di certezze economiche e lavorative. In parte è sicuramente vero ma, sottolinea Ritanna Armeni in un lungo articolo uscito su Il Foglio, non è che forse si considera troppo poco il drastico cambio culturale in corso?

La scrittrice, che non si può certo accusare di non essere, storicamente, in prima file nelle battaglie femministe, parte da una considerazione personale: tutte le ragazze verso i 30 anni a cui ha chiesto quando avrebbero fatto un figlio, le hanno risposto che, di figli, non avevano proprio intenzione di farne. Nessuna “scusa” politica o economica: nella maggior parte dei casi si tratta di donne che hanno studiato, hanno un lavoro e hanno le possibilità economiche per crescere una famiglia. Ma sono proprio tutte queste “libertà” che si contrappongono, come sul piatto di una immaginaria bilancia, all’alternativa di avere un figlio.
Ecco perché le politiche di welfare non bastano, secondo la Armeni. Quello che ci vorrebbe è un radicale cambio culturale, che sradichi la concezione che avere un figlio sia l’alternativa alla libertà individuale. Aut Aut, per dira alla Kierkegaard, stando attenti, però, a non associare la propensione alla libertà come “scelta estetica” e quella alla famiglia come “scelta etica”. Verrebbe spontaneo, sulla base della nostra cultura occidentale, tanto che la stessa Armeni parla di “cattive ragazze”, mettendo tra virgolette l’espressione e usandola provocatoriamente, ma nella consapevolezza che è facile catalogare così che decide per la libertà e non per i figli.

Eliminare la contrapposizione tra libertà personale e maternità

Potrebbe essere utile pensare, invece, che si tratta di donne che discendono da nonne che hanno lottato per ottenere alcune libertà, che hanno visto le loro madri dover sacrificare aspirazioni e interessi personali in nome della famiglia. E hanno consapevolmente deciso, davanti a questa alternativa, finché di alternativa si tratta, di prendere una precisa direzione.
Ecco, allora, che il cambio di rotta, a questa stregua, non si potrà ottenere (solo) da un’implementazione delle politiche per la famiglia: è quell’ “aut – aut” che bisogna scardinare, attraverso, come dice la Armeni: “Leggi non di protezione, ma di promozione. Lo stato e la società devono dimostrare alle ‘cattive ragazze’ e nei fatti, che la maternità non ridurrà la loro libertà, all’opposto la renderà più ricca, più forte e più autentica”.