Diritti dei Minori: 30° anniversario della CRC, ma per il “diritto di essere figlio” siamo ancora all’anno zero!

Non mancano i documenti che parlano dei diritti dei minori, ma nessuno include esplicitamente il primo di tutti i diritti: quello di essere figli! Unica via per un’accoglienza che sia davvero tale, e non solo a parole

 Quest’anno la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza CRC) compie 30 anni: è del 27 maggio 1991, infatti, la legge di ratifica della Convenzione (n.176), entrata in vigore il 12 giugno 1991!
Proprio in questi giorni, dunque, ricade un importante anniversario che merita un bilancio su quelli che sono stati o meno i passi avanti fatti e quelli che ancora sono da fare.

30 anni di CRC, ma ancora non è esplicitato il diritto di essere figli

Innanzitutto, la CRC ha un preambolo che merita molta più attenzione di quanta gliene sia stata data finora, perché è in quelle premesse che risiede il germe dei diritti dell’infanzia che stenta a sbocciare: “Il fanciullo – si legge – ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione”.

La centralità della famiglia anche nell’ottica di garantire ogni altro diritto che i minori devono poter godere è stata di recente evidenziata dall’Autorità Garante nazionale dell’Infanzia e dell’adolescenza (AGIA) nella pubblicazione “La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Conquiste e prospettive a trent’anni dall’adozione“, secondo cui “Con riferimento alla Convenzione, la lettura complessiva delle disposizioni chiarisce che non solo il legame tra minore e famiglia è fondamentale, ma che il diritto del minore di età alla famiglia rappresenta il presupposto per l’attribuzione di altri diritti fondamentali e comunque diritto da considerarsi primario in una valutazione assiologica che pone il superiore interesse del minore quale fondamento e obiettivo della Convenzione”.

Non è d’altra parte un segreto che – come affermato dall’AGIA – “l’esistenza di un diritto alla famiglia” – finora di per sé non esplicitato in nessuna norma internazionale – sia semplicemente “desunta dall’analisi complessiva dell’ordinamento italiano ed europeo“. Secondo l’AGIA infatti, il diritto alla famiglia di origine è previsto negli articoli 7, 8, 9, 10, 18 e 27, mentre il diritto a una famiglia si desume dagli articoli 20 e 21. Sotto quest’ultimo profilo, dunque, siamo lontani da un riconoscimento esplicito, perché per giungere a questa ricostruzione è necessario leggere non solo gli articoli 20 e 21 della CRC, ma anche l’articolo 6 sul diritto allo sviluppo di ogni bambino e ragazzo che dovrebbe (i.e. “deve”) essere assicurato da ogni Stato membro della Convenzione” (articolo 6 par. 2). E infatti, se affinché lo sviluppo della personalità di ogni minorenne sia “armonioso” e completo” è necessario che la crescita di ciascuno di essi avvenga in una famiglia con il clima descritto, ne consegue che i bambini e i ragazzi che crescono fuori dalla famiglia sono di fatto condannati a uno sviluppo non completo e non armonioso della loro personalità. Si tratta con evidenza di un danno irreparabile che i Governi non sono ancora neppure in grado di quantificare.

Tanto c’è ancora da fare per un vero riconoscimento dei diritti dei minori

Se a queste considerazioni si è giunti dopo trent’anni di applicazione della CRC e di sforzi della giurisprudenza, è lecito riflettere su quanta sia la strada ancora da fare perché i diritti dei minori siano non solo previsti ma anche realmente rispettati. Basta leggere i rapporti annuali del Gruppo CR per rendersi conto di quante raccomandazioni vengano annualmente ripetute alle Istituzioni.

Così, ad esempio, siamo ancora in attesa che i minori fuori famiglia vengano seriamente censiti anche se già oltre 10 anni fa gli esperti nelle materie psico-sociali avevano evidenziato che lo sviluppo dei minori in strutture non caratterizzate da rapporti familiari al loro interno procura un ritardo nello sviluppo dei minorenni.
Ancora in Italia non sappiamo esattamente quale sia il numero dei minor fuori famiglia, né esiste un monitoraggio del tempo in cui i bambini – che per qualunque ragione vengano allontanati dalla famiglia d’origine – vi restino esattamente… Non è un caso che il Comitato ONU sull’infanzia e l’adolescenza anche nelle raccomandazioni del 2019 abbia raccomandato tra le altre cose al Governo italiano di “istituire un registro nazionale dei minorenni privi di un ambiente familiare, basato su criteri uniformi e chiari su tutto il territorio dello Stato” (CRC/C/ITA/CO/5-6, punto 24) e che le 100 associazioni del Gruppo, tra cui Ai.Bi., nel rapporto del 20 novembre 2020, abbiano chiesto nuovamente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di estendere a tutte le Regioni entro il 2021 il monitoraggio S.In.Ba. e di istituire opportuni meccanismi di coordinamento tra le Regioni per una raccolta dati omogenea sull’intero territorio nazionale, al fine di avere il numero, la tipologia e le caratteristiche di tutti i minorenni fuori famiglia”.

Insomma, siamo ancora in attesa. E in quello che sembra ancora l’anno zero, auspichiamo che una maggiore attenzione al diritto di essere figlio e, quindi, di vivere da figlio all’interno di una famiglia, possa prima o poi garantire ai bambini e ragazzi anche il godimento di tanti altri diritti.