Superiore Interesse del Minore: le esigenze concrete prevalgono sulla libertà di credo religioso

Una sentenza della Corte di Cassazione certifica come il perseguimento dell’interesse del minore possa anche comportare l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori

Il superiore interesse del minore è un concetto utilizzato in maniera eccessiva, spesso da chi quell’interesse lo vorrebbe porre non in vetta a tutti gli altri ma in ultima posizione, dopo, ovviamente, il proprio. Il motivo di questo uso smisurato e poco confacente al minore stesso è da ritrovare nella mancanza di una definizione precisa del termine, o per lo meno di una chiara definizione degli elementi interpretativi con i quali poter determinare di volta in volta i confini entro i quali porre l’interesse stesso.

La difficile definizione di “superiore interesse del minore”

L’interesse del minore è un concetto in itinere, non posizionabile in alcuna categoria, individuabile in vari contesti ove il soggetto portante si trova. E la legge, che al contrario è statica, non è in grado di definirlo.
Per questo interviene la giurisprudenza, anche se spesso in modo contrastante. Diverse sono le sentenze che, se non definiscono in maniera completa cosa sia l’interesse superiore del minore, lo determinano in quella fattispecie specifica di cui si occupano.
Oggi vogliamo considerare una sentenza della Corte Suprema che non tratta di adozione, ma che individua l’interesse del minore all’interno di una diatriba tra genitori divorziandi sulla scelta della scuola.

Interesse del minore o ingerenza nella vita privata?

È la sentenza n.13570 con la quale la Corte a cui è rimessa la decisione ai sensi dell’art. 337 ter comma 3 c.c., s’ingerisce in via del tutto eccezionale, nella vita privata della famiglia.
La madre avrebbe voluto iscrivere il figlio, anche per il secondo ciclo di istruzione, alla stessa scuola privata religiosa già frequentata dal figlio, mentre il padre avrebbe preferito che il figlio frequentasse un istituto pubblico e laico.
In primo grado il Tribunale aveva autorizzato l’iscrizione alla scuola privata accogliendo il desiderio del bambino di poter continuare a frequentare la stessa scuola dove aveva già degli amici e buoni rapporti con gli insegnanti; la Corte d’Appello al contrario, aveva accolto il ricorso paterno e deciso in contrasto con gli artt. 8,9 e 14 Cedu, poichè l’autorizzazione in questione riguardava l’iscrizione a un istituto di matrice cattolica, implicando, così, una coazione del minore verso una determinata religione, condizionando la sua libertà di autodeterminazione in tema di confessione religiosa.
Si è arrivati in Cassazione, che ha risolto la vertenza considerando l’esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori a una crescita sana ed equilibrata, che può ben essere fondata sull’esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa.
La Cassazione ha specificato che tale scelta adottata al posto dei genitori deve ovviamente tenere presente il superiore interesse dei minori e i criteri devono comprendere la potenziale offerta formativa, l’adeguatezza delle strutture scolastiche, la collocazione rispetto all’abitazione e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che compie questa scelta onerosa.

Questa sentenza si pone in linea con una giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che, in caso di conflitto genitoriale sulla frequentazione di una scuola privata religiosa per i figli, il perseguimento dell’interesse del minore può comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori, se il loro esercizio avesse conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo (Cass. Civ. n. 26820/2023).
In conclusione la decisione commentata non può essere intesa come una violazione del principio di laicità del nostro ordinamento costituzionale, in quanto essa esprime, di fatto, un plausibile giudizio di bilanciamento dello stesso con i principi di rango costituzionale afferenti alla cura e alla tutela dei minori, in ogni loro declinazione.

Ufficio Diritti Ai.Bi.