Donandoci il suo amore, Dio ci rende giusti: Paolo ci invita a non rendere vana questa grazia

marta-lava-i-piedi-a-gesuPer questa XI domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai testi  del Secondo Libro di Samuele (2Sam 12,7-10.13), della Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 2,16.19-21) e dal Vangelo secondo Luca (Lc 7,36-8.3).

 

La Parola di Dio, in questa domenica, ci riguarda tutti! A cominciare dalla seconda lettura, dalla lettera di Paolo ai Galati: «l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo».

Noi, dice Paolo, non siamo giustificati per opera nostra e dunque nessuno di noi è giusto davanti a Dio. Noi tutti ci siamo allontanati da Lui e dunque se Dio si comportasse con ‘giustizia’ nei nostri confronti dovrebbe, con immenso dolore, prendere atto che nessuno di noi è degno di Lui!

Ma non è questa la ‘giustizia’ di Dio: questa sta nell’atto con cui egli ci rende giusti, colmandoci di quell’amore sovrabbondante che ci ha donato, per sempre, nella Pasqua di Gesù.

Dunque, raccogliamo l’invito di Paolo a non rendere «vana la grazia di Dio», pretendendo di essere noi la fonte della nostra giustizia, con l’osservanza della Legge.

È per grazia che noi siamo giusti! Questa è la giustizia di Dio: la sua grazia!

Questo, naturalmente, non avviene in modo magico, senza di noi, senza la risposta della nostra libertà. Questi pensieri, che possono sembrare un po’ astratti, in realtà sono molto concreti.

Ne troviamo un bellissimo esempio, ancor più che nella prima lettura, che racconta del peccato del grande re Davide, nella bella narrazione del Vangelo di Luca.

Nel brano che abbiamo ascoltato oggi, dal secondo libro di Samuele, il profeta Natan si rivolge al re Davide con parole durissime: «Il Signore – gli dice – ti ha preso dal nulla e ti ha ricolmato di doni! ”Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi?”. Disprezzando la Parola, hai disprezzato la grazia del Signore: sei diventato un assassino, per coprire, per nascondere e per giustificare il tuo adulterio. Per ‘salvarti‘ dall’aver ”preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittìta” lo hai fatto uccidere in battaglia!».

Con grande franchezza, il re Davide non si nasconde dietro la sua colpa: «Ho peccato contro il Signore!», così dice al profeta. Allora questi gli annuncia il perdono di Dio, un perdono dato per grazia, ma accolto nel pentimento da Davide.

In modo splendido, il Vangelo ci trasferisce nella casa di un fariseo, Simone, che ha invitato Gesù a mangiare in casa sua. Ed è qui che, all’improvviso, sulla scena di quella casa irrompe «una donna, una peccatrice di quella città».

È una prostituta, una donna di malaffare, come diciamo noi, con un po’ di ipocrisia, come a coprire tutti quelli che la frequentano!

Questa donna, nella tradizione, è stata identificata con Maria Maddalena di cui ci parla il Vangelo di oggi, alla fine, quando dice che da lei «erano usciti sette demòni». Ma il Vangelo non identifica Maria Maddalena con questa donna che, invece, non ha nome.

Ciò che interessa a noi è ascoltare con profondità quanto accade.

Questa donna non dice nemmeno una parola, davanti a Gesù. Entra nella casa del fariseo, compiendo un atto sgradito (‘impuro’), perché contro la Legge. Una donna impura che entra nella casa di un fariseo, uno zelante osservante della Legge!

Ma, molto più, questa donna porta con sé un vaso di profumo. La scena, in parte, ricorda un testo del Vangelo di Giovanni, al capitolo dodici, che ha come protagonista Maria, non però la Maddalena, ma la sorella di Lazzaro, a Betania.

Nel Vangelo di Luca questa donna non si mette davanti a Gesù.

In silenzio, senza nemmeno guardare il volto del Signore, senza dire neppure una parola, comincia a piangere, a dirotto, al punto che, con le sue lacrime gli bagna tutti i piedi. E, poi, come se non bastasse, glieli asciuga con i suoi lunghi capelli e mentre li asciuga, li bacia, coprendo i piedi di Gesù con i suoi baci. E, alla fine, si mette a cospargere di ‘profumo’ i piedi di Gesù.

Una scena travolgente!

Sarà durata non poco.

Sempre in silenzio. Davanti a tutta quella gente, che sapeva di lei.

Una scena ‘clamorosa’, anche se compiuta in modo perfino discreto, appunto perché silenziosa.

Questa donna non ha nulla da vantare davanti a Gesù. Il suo pianto, i suoi capelli, i suoi baci, il profumo parlano più di ogni parola.

A questa scena, naturalmente, assiste allibito il fariseo Simone che, tra sé e sé, ipocritamente, senza avere il coraggio di dire nulla a Gesù, pensa: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Donne come questa, così pensa l’ipocrita, non possono nemmeno essere toccate, non ce ne si può nemmeno lasciar toccare (salvo poi, magari, andarle a cercare, ma di nascosto!).

Gesù, invece, è un uomo di tutt’altra pasta. È un uomo franco: «Simone, ho da dirti qualcosa». È Gesù che rompe l’imbarazzo e il silenzio di quei momenti.

«Di’ pure, maestro», gli risponde quell’uomo che, dentro di sé, aveva già disprezzato e squalificato Gesù. Altro che chiamarlo: «maestro»!

A quel punto Gesù racconta una piccola, ma eloquente, parabola.

È la storia di due debitori, cui un creditore aveva condonato il debito, per uno piccolo, per l’altro dieci volte di più!

«Chi di loro dunque lo amerà di più?».

In questa domanda di Gesù c’è tutto, c’è già un’evidente risposta. È chiaro che la gratitudine, l’amore, aumenta quanto più è grande la grazia ricevuta, il perdono e condono del debito.

A quel punto, quasi a denti stretti, Simone risponde. Non può fare diversamente. Ma questo fariseo non apre gli occhi su di sé. Forse ha capito, o forse non vuol capire o non può capire. Ha già giudicato, e squalificato Gesù.

Solo allora Gesù guarda quella donna. Si volge verso di lei, ma continua a parlare a Simone, quasi come se gli chiedesse di guardare, finalmente, a questa donna con i suoi occhi, così diversi e belli … gli occhi di Gesù!

Gesù poi fa un imbarazzante paragone tra i gesti di Simone e i gesti di questa donna. E conclude, con parole bellissime: «Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati».

Gesù chiama per nome le opere di questa donna: sono «peccati»!

E tuttavia annuncia a Simone che questi peccati le sono perdonati, perché lei ha amato, di un amore di gratitudine, perché ha scoperto in Gesù una parola diversa, una parola di grazia e di amore cristallino, traboccante.

Da qui il suo pianto, i suoi baci, il profumo!

Gesù aggiunge che, purtroppo, «ama poco» colui che crede di essere stato perdonato solo di poco.

Poi Gesù si rivolge alla donna, direttamente, donandole il suo perdono, in nome di Dio, suscitando le reazioni (silenziose e ipocrite) dei commensali e proclamando, dinnanzi a tutti, che la fede di questa donna l’ha salvata.

Perciò le dice:«”va’ in pace!” e rimani nella pace di questo amore grazioso che ha rovesciato, e colmato di gratitudine, la tua vita».

Sono parole, quelle di Gesù, che a ciascuno di noi è chiesto di meditare, di farle proprie.

È a me che Gesù si rivolge, oggi, per grazia!